venerdì 24 agosto 2018

Ebridi

Le Ebridi sono una poesia appoggiata sull'oceano.
Non una poesia in rime, perché non hanno bisogno di alcun abbellimento.
Sono una bellezza quasi difficile da raccontare.
La prima cosa che ho pensato osservando il mondo che vedevo fuori dal finestrino è stata : "voglio vivere qui!!"
Sì continua a ripetere che chi vive al nord sia più freddo e distaccato, fa parte di quel genere di assurdità che ci entrano in testa a furia di sentirle raccontare. Nelle Ebridi le persone vedono poco il sole, eppure loro ce l'hanno dentro e se lo portano appresso qualsiasi cosa facciano. Si intravedono i raggi in ogni loro sorriso, in ogni loro parola gentile e nei loro modi così educati. Non sono persone chiassose anzi, eppure mostrano la loro felicità quasi in modo tangibile. È come se non fossero mai arrabbiati o nervosi.
Credo che a renderli così diversi da noi, sia la pace sconfinata che si respira ovunque. Poche persone, poco turismo, poco traffico. E una natura sconfinata e quasi intatta.
Svegliarsi ogni giorno vedendo l'oceano, ed  ascoltare il suono delle sue onde è terapeutico. Vedere il blu mischiarsi col verde ti fa sentire bene, come poche altre cose al mondo.
Ci sono un milione di dettagli che vorrei riuscire a descrivere, perché sono un milione i dettagli che si possono scorgere. Da Lewis a Barra il paesaggio cambia infinite volte. Si passa dalle scogliere selvagge ed impertinenti, alle spiagge bianche e immense. Ad Harris ci sono spiagge bianchissime circondate dal verde e se la giornata è cupa cala persino la nebbia e tu ti ritrovi in un luogo surreale, dove i Caraibi  abbracciano il nord. Quando invece la marea è bassa si trasforma in un deserto circondato dal verde.
Se poi decidi di percorrere la Golden Road e distaccarti dalla costa, allora avrai la fortuna di attraversare un paesaggio unico. Un paesaggio lunare, completamente circondato da rocce, la sensazione che si prova è quella di essere su un altro pianeta. Cerchi di trovare la fine, ma non la trovi mai.
Ciò che stupisce è che in mezzo al nulla può spuntare da un momento all'altro, qualcosa che non ti aspetti, ad esempio gallerie d'arte aperte a tutti, alcune di queste con il loro caffè all'interno. Fotografi e scultori che hanno deciso contro ogni probabilità, di aprire le loro gallerie in luoghi dove la scelta non è esporsi, ma farsi trovare. Dove il loro lavoro assomiglia più a un dono, per chi durante il tragitto, ha la fortuna di scovarli.
Le Ebridi sono una continua scoperta, mentre le si attraversa non si smette mai di lasciarsi stupire. Sono la natura che vince, sono speranza. Sono un po' di dolcezza sulle labbra, che nasce dal pensiero che l'uomo non sia ancora riuscito a rovinare tutto con la sua presunzione.
C'è un dettaglio tra tutti i dettagli, che mi ha colpito in modo particolare. A picco sull'oceano appollaiati su colline verdi, ci sono i loro cimiteri. Mi piace questo "riposa in pace" preso alla lettera, mi piace questo modo che hanno di rapportarsi con la morte, il rispetto. Il renderla così naturale quanto la vita. Il dare a chi non c'è più, un panorama stupendo. Forse, ho pensato, è proprio vero che chi ha  vissuto tutta la vita sull'oceano, non se ne può mai più separare.
Ricorderò per sempre il tramonto davanti ad uno dei B&B in cui abbiamo dormito. Ci siamo seduti sulla panchina e la signora che ci ospitava, con infinita discrezione è uscita di casa e ci ha portato un cuscino per stare più comodi : "godetevi questo sole!" ha detto, ed è andata via. Perché sulle Ebridi lo sanno che il sole è un regalo e che l'oceano va contemplato in silenzio.
Mentre il sole spariva dietro le nuvole, il mio unico pensiero è stato : questo è il posto giusto per vivere, il posto giusto per morire.
Quando un luogo ti regala questa certezza, si chiama casa.
Chiara

martedì 15 maggio 2018

Al mio gigante buono

Conosco persone che alla vita ci si aggrappano con i denti, con le unghie e con una forza difficile da raccontare.
Conosco persone che che fanno dei nodi strettissimi intorno a questa cosa che è la vita e se ne fregano se ogni tanto fa schifo, perché hanno assaggiato il sapore disgustoso che ti lascia in bocca la paura di morire.
Conosco persone che invece di desiderare "cose" desiderano "tempo".
Conosco persone che non danno più niente per scontato, nemmeno il profumo del caffè.
Conosco persone che hanno imparato che ogni notte trascorsa nel proprio letto è qualcosa che puntualmente ti mancherà al prossimo ricovero.
Conosco persone che sanno abbracciare in quel modo, come se abbracciassero il mondo intero.
Conosco persone come te, che nonostante tutto il male, conservano ancora una dolcezza negli occhi che sembra non finire mai.

Al mio gigante buono che ogni giorno mi insegna qualcosa.. e a tutti quelli come lui.
Chiara

venerdì 20 aprile 2018

Forme che cambiano

"È una persona solare". Che sciocchezza.
Che stupidaggini queste etichette che usiamo. Questo voler definire qualcuno. Questo nostro credere di conoscere realmente chi ci sta intorno.
E tu? Non eri anche tu una persona solare?
Una persona che amava la vita?
Certo che lo eri, amavi il mondo, amavi il buon cibo, i libri, il cinema. Amavi il sole, il caldo ed il mare. Amavi la buona compagnia, amavi parlare alle persone. Amavi la tua barca.
E ridevi, ridevi spesso, avevi un senso dell'umorismo invidiabile.
Queste sono tutte quelle sfumature di te che gli altri vedevano e percepivano. Questo è ciò che di te le persone amavano. Eppure nonostante tutto, è andata così. È andata come nessuno avrebbe mai potuto immaginare.
Tu più di chiunque altro mi hai insegnato che definire le persone è un'illusione. È una sciocca necessità umana, per convincerci che ci stiamo capendo qualcosa. Per convincerci che stiamo prendendo una direzione, che ciò che facciamo sia la cosa giusta. Che chi ci circonda sia proprio come noi lo vediamo.
La realtà è, che non funziona così, ciò che percepiamo degli altri è solo una bozza.
Come quando ti metti a guardare la forma di una nuvola, tu ci vedi un drago e la persona accanto ci vede un albero e chissà in quanti modi diversi verrà interpretata. Potrà essere sia drago che albero, senza che una cosa escluda l'altra, ma non potrà mai essere qualcosa di definito e definitivo.
Il vento la cambierà in continuazione, farà uscire altri suoi lati o ne nasconderà alcuni.
È questo che siamo, forme in continua mutazione.
Possiamo essere percepiti in mille modi diversi, oppure in uno unico modo sbagliato o forse giusto, ma incompleto.
Ecco perché tu amavi la vita ma ad un certo punto hai smesso di farlo.
Non siamo definizioni, siamo emozioni.

Chiara

mercoledì 14 marzo 2018

Glidho & Lena

Glidho era un mostro e viveva sotto il letto di Lena.
Lena era una bambina di sei anni quando lo aveva trovato nel bosco. Non lo aveva temuto nemmeno per un secondo, tolto lo stupore del momento, le si era avvicinata con estrema naturalezza come ci si avvicina ai gattini smarriti.
Sì era fidata immediatamente di quei due occhi grandi e dolci che suscitavano in lei una tenerezza quasi indescrivibile.
"Ti va di essere il mostro che vive sotto il mio letto?, tutti i bambini che conosco temono i mostri sotto il letto, ma se io avrò te, so che non avrò mai paura"
Glidho che era un mostro di poche parole, aveva semplicemente detto "Si"
Gli piaceva il bosco e la compagnia delle creature che lo abitavano, ma dopo un paio di secoli la noia si faceva sentire e l'idea di un nuovo posto in cui vivere non gli dispiaceva affatto.
Nessuno in casa di Lena fece mai caso a Glidho ,quando non credi in qualcosa non puoi certo vederla.
Il fratello maggiore aveva smesso di credere a quelle sciocchezze da molti anni, ora credeva solo a sé stesso e ai seni sodi sotto le magliette delle ragazze. I genitori di Lena invece sembravano credere ai mostri solo quando volevano spaventarla, giusto il tempo di un ricatto.
Lena e Glidho diventarono come due fratelli inseparabili, come due amici che scambiano una promessa col sangue.
Lena passava le ore nella sua cameretta a giocare col mostro. Glidho le raccontava milioni di storie fantastiche ed incredibili. Certe notti sgusciavano fuori di casa e andavano insieme nel bosco, lei adorava avventurarsi in quel luogo colmo di creature meravigliose, tra fate, gnomi e gufi parlanti. Era un mondo magico nemmeno lontanamente paragonabile al mondo a cui era abituata, si sentiva la bambina più fortunata del pianeta.
Glidho adorava vederla sorridere, nessuna fata nemmeno la più bella, aveva un sorriso come il suo. Ma soprattutto nessuna creatura del bosco lo aveva mai fatto sentire così "poco mostro". Avrebbe vissuto in quella cameretta per sempre, non gli importava della polvere, dei muri e di quel senso di soffocamento che ogni tanto provava, contava solo Lena e la sua felicità.
Le aveva asciugato le lacrime quando era triste, l'aveva cullata quando di notte non riusciva a dormire e le aveva sempre regalato un motivo per sorridere. Aveva imparato tutti gli aspetti migliori degli esseri umani, ma li applicava con più convinzione. Era diventato una presenza costante nella vita di Lena, perché si sa, gli umani con la costanza hanno ancora parecchie lacune.
Gli anni passavano e Lena cresceva. Glidho era più o meno sempre lo stesso.
La cameretta di Lena aveva subito svariati cambiamenti, c'erano foto e poster alle pareti e dei suoi giochi ormai nemmeno l'ombra, tolto qualche peluche impolverato qua e là. Era come se parte della sua stanza mutasse insieme a lei.
Glidho a differenza di un tempo, passava molte ore da solo, talvolta Lena si dimenticava persino di portargli i suoi biscotti preferiti dopo cena, un rito che durava da sempre. Ogni volta che il mostro le proponeva una notte nel bosco, Lena aveva sempre qualcos'altro da fare, a volte era il cinema, altre una festa, altre un esame importante il giorno dopo a scuola.
Glidho la sentiva lontana anni luce. Tutto ciò che erano stati sembrava solo un ricordo inventato.
Lena aveva smesso di confidarsi con lui, ora aveva le amiche. Aveva un ragazzo che ogni tanto la faceva piangere, ma ciò nonostante lo preferiva a lui. Lena stava diventando come gli altri membri della famiglia che nemmeno lo vedevano. Quando Glidho provava a ravvivare la magia che li aveva legati, la risposta di Lena era sempre la stessa "non sono più una bambina Glidho, non mi piacciono più le stesse cose, non puoi capire tu".
Già, del resto lui era un mostro come poteva capire? È incredibile come "Signora consapevolezza" creda sempre di aver ragione.
Glidho ora era uno stupido mostro ferito. Non si era mai sentito in quel modo in tutta la sua lunghissima vita.
Così quando quel giorno Lena invitò Lucas nella sua stanza, a Glidho non piacque affatto.
La sentiva ridere e scherzare come quando era bambina solo che lui non ne era più il motivo e poi il rumore dei baci gli dava il voltastomaco. Ma soprattutto e sopra ogni cosa non sopportava quelle frasi d'amore che quei due si scambiavano a voce bassa, come un segreto. Un segreto da cui era stato escluso senza nemmeno troppi complimenti.
Quando Lucas se ne andò, a Glidho sembrò naturale srotolare la sua enorme lingua da sotto il letto ed ingoiare Lena in solo boccone. Se Lena non poteva essere sua non poteva nemmeno essere di qualcun altro.
Fu un attimo, un solo attimo ed il buio avvolse ogni cosa.
Quando Lena si svegliò in quella pancia desolata, pianse. Pianse dalla paura, dallo sgomento e per la fiducia tradita.
Glidho era sempre stato un mostro? O lo era diventato? Lo aveva reso lei tanto mostruoso? O la sua vera natura aveva semplicemente fatto il suo corso? E mentre tutte queste domande l'abbissavano in un buio sempre più profondo si ricordò di un tempo lontano, di quando erano l'uno il mondo dell'altro. Così la domanda che le uscì dalle labbra con un filo di voce fu diversa :
"Sono sempre stata un mostro Glidho, o lo sono diventata?".
Glidho che era un mostro di poche parole non rispose, ma la sputò fuori come un boccone amaro.
Sì guardarono a lungo negli occhi, un modo come un altro per chiedersi scusa.
Forse non erano mostri, erano soltanto diversi, era soltanto colpa del tempo che come sempre cambia ogni cosa inesorabilmente.
Glidho capì che non c'era più posto per lui sotto quel letto nonostante gli spazi fossero sempre gli stessi, nonostante lui fosse sempre lo stesso.
Lena lo guardò andar via e insieme a quel mostro dagli occhi dolci vide andarsene qualcosa di lei che non sarebbe mai più tornato.
Qualcosa che le sarebbe mancato per sempre.
Chiara

Illustrazione di Chervona Vorona 

martedì 23 gennaio 2018

luci mai spente .

Faccio scorrere la mia playlist musicale e mi accorgo che molti di questi nomi che ho ascoltato un milione di volte non ci sono più.
Miti volati via, che stanno lasciando spazio al nulla, ad un vuoto insopportabile di parole e di accordi.
Eppure queste voci ogni giorno sono presenti e non smettono mai di essere il sottofondo della mia vita.
È strana la sensazione di chi c'è anche se non c'è, di chi vive senza più vivere.
Di chi ha acceso una luce così potente che ora è impossibile spegnere.
E noi qui, che continuiamo a goderne, consapevoli di questo dono.
Chiara

50 sfumature di scuse ...

Tutte pazze per 50 sfumature, tutte pronte per 50 sfumature, tutte elettrizzate per 50 sfumature poi.....
A casa :
a) "stasera ho mal di testa"
b) "io voglio parlare e tu pensi solo a quello"
c) "Ho il ciclo"
"ma non lo avevi la settimana scorsa?"
"beh si e allora? Che vuol dire?"
d) "stasera non me la sento, sono giù di morale, ho ucciso dei moscerini tornando dal lavoro col mio parabrezza"
e) "amore, domani vado a vedere 50 sfumature, che emozione, che eccitazione"
"Davvero? Beh allora poi quando torni ti aspetto sveglio e....."
"ma sei pazzo? Per chi mi hai preso? Togliti dalla testa certe idee... Porco sei il solito porco!!!!!!!!!"
f) "I bambini ci sentono"
"quali bambini?, non abbiamo bambini"
"magari i vicini ne hanno, meglio non rischiare"
Chiara

martedì 16 gennaio 2018

A Dolores... Grazie Fabio Magnasciutti per queste splendide parole!

Per me gli anni 90, musicalmente, non sono esistiti, semplicemente
alcune scintille brillanti, da contare sulle dita di una mano
una mano scarsa, una mano disneyana
mi riferisco alla schiuma, a ciò che emerge
sottoterra si trova sempre del bello, in ogni epoca
per me, ripeto
non è un giudizio, non è un invito al dibattito
è un fatto generazionale, ha che fare con la temperatura del sangue a quattordici anni, alla colonna sonora del desiderio di labbra, all’essere momentaneamente immortali
la musica deve far piangere, ridere, tremare, incrociare sguardi, sfiorare, voler baciare, fare l’amore
è una cosa seria
il resto è diffusione da supermercato
poi c’è altro, che non so e non voglio spiegare: il tuo volto, per esempio, nel video di I can’t be with you
avrei baciato il vetro dietro il quale ti muovevi, devo averlo fatto
ho sempre avuto una passione per le bocche irregolari, i denti storti, buttati lì come dolmen
e gli occhi tristi e i profili spigolosi
c’era questo e c’era vento e verde di una terra dura e meravigliosa che amo
c’era dolore nella tua voce, che non era poi così originale come si dice, per me
Liz Fraser, Siouxsie, Nina Hagen, Lene Lovich, molte altre, avevano già giocato con le corde vocali, intrecciandole, facendone cesti
non fa niente, ora non potrò più baciarti
conta questo.
Fabio Magnasciutti