venerdì 22 dicembre 2017

Sola....

Se oggi fossi di New York non avrei bisogno di nessuno. Se oggi venerdì 22 dicembre, io vivessi a New York, spegnerei la suoneria del mio telefono e non mi farei trovare.
Molto probabilmente andrei sulla Quinta Strada dove c'è una gigantesca libreria e nel suo interno uno Starbucks.
Sceglierei un libro, ordinerei un Mocha e mi piazzerei al tavolino che dà sulla vetrata.
Sono da sempre i miei preferiti, do le spalle a tutti quelli nel locale e guardo il mondo che mi scorre davanti.
È come essere sul treno e guardare dal finestrino, con la differenza che tu sei fermo e tutto il resto è in continuo movimento e cambiamento.
Mi leggerei il libro scelto, dando di tanto in tanto una sbirciata oltre le pagine.
Una storia dentro ed una storia fuori, di cui non conosci le parole, ma non conta, alcune storie non ne hanno bisogno.
Se oggi io fossi di New York, me ne fregherei del venerdì. Se oggi fossi di New York, vorrei proprio sentirmi sola in mezzo ad un mare di persone.
Chiara

giovedì 21 dicembre 2017

Nessuna logica!!

Durante le sue lunghe passeggiate amava parlare al vento, non era poi così diverso che parlare alle persone.
"lo sai vero che la vita è una questione complicata? Se ci si guarda attorno con la giusta attenzione ci si accorge che tutto è distribuito in modo sbagliato: tristezza, gioia, amarezza, delusioni e tragedie.
È come se fossero passati con un grosso elicottero nel cielo e avessero fatto cadere le provviste senza alcuna logica"
Si fermò un istante come ad attendere una risposta e poi proseguì.
"le panchine lo sanno, loro sanno tutto. Sono i testimoni di questo mondo. Loro vedono e ascoltano ogni cosa, anche quando non vorrebbero, loro stanno lì. Ferme, immobili, impotenti. Loro la vita la subiscono. Non possono girare le spalle come fai tu quando qualcosa va storto.
Sei fortunato vento, oggi sei qui ad ascoltare un povero vecchio brontolone e domani chissà, ti sarai già dimenticato di me. Tu cambi direzione ed i problemi nemmeno ti sfiorano. Nessuno ti obbliga a guardare, ad ascoltare, alzi i tacchi e te ne vai, senza che qualcuno ti rinfacci ciò che sei"
Sì sentì stanco tutto d'un tratto. Aveva camminato troppo e parlato a lungo. Si guardò intorno in cerca di una panchina per riposare. Eccola lì, ferma, immobile, pronta ad accogliere le sue natiche vecchie e rugose.
Pensò che in fondo era questo il segreto per restare a galla, convincersi che ogni avvenimento fosse solo un caso, qualcosa caduto da un grosso elicottero senza alcuna logica. Senza alcuna spiegazione. Forse bisognerebbe essere un po' come il vento, sfiorare senza toccare, esserci ma senza convinzione. Vedere ogni cosa, senza fermarsi a guardarla.
Ma erano solo i pensieri di un vecchio, di uno a cui del mondo non fregava più un cazzo.
Diede una pacca al dorso della panchina, un  goffo ma sincero gesto di conforto :
"oggi ti è toccato il mio culo".
Chiara

mercoledì 20 dicembre 2017

Mi manchi

Al di là della tua finestra il mondo si prepara al Natale e alla fine di un altro anno. La fine di un anno che vorrei dimenticare, quello che ti ha portato via. Fa male tenere in mano questi regali e questo biglietto su cui manca il tuo nome, fa male non aver pensato cosa regalarti. Fa male il tuo posto vuoto a tavola.
Chissà quando passerà questo nodo alla gola, forse mai.
Al di là della tua finestra il mondo si prepara a festeggiare, nonostante questo vuoto abbia sostituito il suono della tua risata.
Le luci brillano come se nulla fosse cambiato. Eppure tutto è cambiato.
Torno a casa col viso bagnato, con una sensazione di malinconia soffocante.
Poi ti scrivo. Ti scrivo perché è l'unica cosa che faccio quando non riesco a parlare.
Ti voglio bene.
So che te l'ho detto un miliardo di volte ma ho imparato che bisogna dirlo, oltre che dimostrarlo. Non oso immaginare come mi sentirei ora se non te l'avessi mai detto, se non te l'avessi ripetuto ad ogni occasione.
Ti voglio bene.
Il Natale, le luci, il mondo e tutti quei negozi addobbati non lo sanno, ma tu si, ed è la sola cosa che conta.
Chiara.

venerdì 1 dicembre 2017

Storia di Victor e di chi in realtà non muore.



"Lo Sai" disse con aria greve
"Mi manca"
Lei lo guardò con tutta la dolcezza che aveva raccolto nella sua vita e provò a trasmetterla con poche parole
"Lo so che ti manca, manca a tutti, ma lui mica è sparito"
Victor restò perplesso di fronte a questa affermazione, ci mise un po' prima di elaborarla
"se non è sparito dove si è cacciato?"
E allora lei gli raccontò una storia. Gli raccontò che quando una persona muore, la si può trovare dentro a qualsiasi cosa, se si guarda con attenzione. Le disse "Se osserviamo il mare, sarà nel mare. Se osserviamo le montagne sarà sopra una cima innevata e se osserviamo un prato, beh sarà sicuramente tra i fiori, quindi Victor ora devi solo osservare con attenzione e desiderare di rivederlo dentro a ciò che stai guardando"
Lui ci pensò su qualche secondo e poi le chiese "Quindi se guardo bene il cielo lo vedrò tra le stelle?"
"Sono sicura che lo troverai lì"
Victor restò scioccato di fronte a questa nuova scoperta. Pensò che sarebbe stato bellissimo guardare dalla finestra il cielo ogni sera prima di dormire. Quel giorno si sentì agitato ed ansioso, o forse emozionato. Non vedeva l'ora che arrivasse la sera. Cercò di far passare il tempo in tutti i modi, persino i compiti gli sembrarono utili, voleva solo riempire quelle ore in attesa del suo cielo stellato.
Sentiva la mancanza di suo padre come se gli avessero strappato una parte del suo corpo. Gli mancava tutto di lui, la sua risata, il suo odore, le sue braccia forti che lo sollevavano, gli mancava persino il timbro della sua voce quando lo sgridava. Ma soprattutto gli mancava chiamarlo, gli mancava in modo incredibile il suono della parola Papà uscire dalla sua bocca.
Quella sera Victor a cena mangiò velocemente, corse a lavarsi i denti ed indossò il pigiama al rovescio. Andò in camera sua e si mise seduto sul letto davanti alla finestra. Eccolo il suo cielo, poche stelle si scorgevano tra le nuvole, ma si convinse che fosse sufficiente. Fece un sospiro e si mise a fissare quel blu intenso di tanto in tanto punteggiato. Ma niente da fare, del suo papà non vide nemmeno l'ombra. Stette a fissare quel cielo per molto tempo, ma nulla cambiò. Forse quella sera papà era stanco o forse era uscito con gli amici. Forse quella sera suo padre aveva mal di testa e non gli andava di farsi vedere, o forse lui non era abbastanza bravo ad osservare le cose. Sconsolato Victor sbuffò. Prese Kenny, il suo  coniglio di pezza , lo strinse tra le braccia e si infilò sotto le coperte. Sentì gli occhi annegare nelle lacrime. Il suo papà non era nel suo cielo stellato.
Passarono i giorni ma Victor non volle più guardare il cielo, preferiva non pensare a quella stupida storia, non voleva aspettare qualcuno che non sarebbe mai più tornato. Non voleva provare nuovamente, quella sensazione di abbandono. Aveva persino tentato di osservare con attenzione e concentrazione altre cose, ma non era servito a niente.
Un pomeriggio Victor impugnò il manubrio di Tempesta e pedalò furiosamente senza una meta, era arrabbiato. Arrabbiato con sua madre che lo aveva illuso raccontandogli una favoletta stupida, era arrabbiato col cielo, con suo padre ed era arrabbiato con sé stesso per aver creduto davvero di poterlo rivedere.
Pedalò con così tanta energia e rabbia da ritrovarsi sul sentiero che accostava il bosco. Era ormai autunno, ottobre aveva colato su ogni cosa i suoi colori caldi. Le foglie erano ovunque intorno a Victor ed erano bellissime. Fino a quel momento non si era nemmeno reso conto che fosse autunno.
Scese dalla bicicletta e l'appoggiò ad un albero. "hai visto Tempesta, hai visto quante foglie?, sono cosi tante che ci si può tuffare dentro"
E così lo fece, Victor prese la rincorsa e si tuffò su quel tappeto morbido ed umido. Rise, rise come non gli succedeva da tempo. Gli sembrò di essere ancora sul tappeto di casa sua, quando suo papà lo sfidava coi cuscini e poi insieme rotolavano rimanendo senza fiato. Così lo vide, si rivide insieme a lui. Ebbe persino la sensazione di sentire il suono della sua risata e senza nemmeno volerlo disse nuovamente quella parola che gli mancava così tanto, "papà".
Era bello poterla dire ancora, sentire quelle lettere uscire dalla sua bocca, vive.
Non era un cielo stellato, ma un tappeto di foglie.  Ecco dove si era cacciato il suo papà.
Capì che non sarebbe stato lui a decidere dentro quali cose lo avrebbe rivisto, ma sarebbe stato suo padre a farsi trovare.
Gli fu chiaro in quel momento che le persone che perdiamo diventano inevitabilmente, ciò che nella vita ameremo di più. Da quel giorno, Victor, avrebbe amato l'autunno per sempre.
Quello fu il primo incontro con suo padre, e l'autunno fu il suo primo amore.
Poi Victor si innamorò del Punk, di Poe, si innamorò dell'oceano. Si innamorò del grigio di Berlino e di un gatto randagio. Si innamorò delle fossette di Bea e di un Bistrot nel quartiere degli artisti a Parigi. Si innamorò di una piccola barca a vela.
Suo padre avrebbe vissuto sempre lì, nel pulsare meraviglioso della vita, dentro la bellezza di ogni cosa inaspettata.
Chiara.