venerdì 22 dicembre 2017

Sola....

Se oggi fossi di New York non avrei bisogno di nessuno. Se oggi venerdì 22 dicembre, io vivessi a New York, spegnerei la suoneria del mio telefono e non mi farei trovare.
Molto probabilmente andrei sulla Quinta Strada dove c'è una gigantesca libreria e nel suo interno uno Starbucks.
Sceglierei un libro, ordinerei un Mocha e mi piazzerei al tavolino che dà sulla vetrata.
Sono da sempre i miei preferiti, do le spalle a tutti quelli nel locale e guardo il mondo che mi scorre davanti.
È come essere sul treno e guardare dal finestrino, con la differenza che tu sei fermo e tutto il resto è in continuo movimento e cambiamento.
Mi leggerei il libro scelto, dando di tanto in tanto una sbirciata oltre le pagine.
Una storia dentro ed una storia fuori, di cui non conosci le parole, ma non conta, alcune storie non ne hanno bisogno.
Se oggi io fossi di New York, me ne fregherei del venerdì. Se oggi fossi di New York, vorrei proprio sentirmi sola in mezzo ad un mare di persone.
Chiara

giovedì 21 dicembre 2017

Nessuna logica!!

Durante le sue lunghe passeggiate amava parlare al vento, non era poi così diverso che parlare alle persone.
"lo sai vero che la vita è una questione complicata? Se ci si guarda attorno con la giusta attenzione ci si accorge che tutto è distribuito in modo sbagliato: tristezza, gioia, amarezza, delusioni e tragedie.
È come se fossero passati con un grosso elicottero nel cielo e avessero fatto cadere le provviste senza alcuna logica"
Si fermò un istante come ad attendere una risposta e poi proseguì.
"le panchine lo sanno, loro sanno tutto. Sono i testimoni di questo mondo. Loro vedono e ascoltano ogni cosa, anche quando non vorrebbero, loro stanno lì. Ferme, immobili, impotenti. Loro la vita la subiscono. Non possono girare le spalle come fai tu quando qualcosa va storto.
Sei fortunato vento, oggi sei qui ad ascoltare un povero vecchio brontolone e domani chissà, ti sarai già dimenticato di me. Tu cambi direzione ed i problemi nemmeno ti sfiorano. Nessuno ti obbliga a guardare, ad ascoltare, alzi i tacchi e te ne vai, senza che qualcuno ti rinfacci ciò che sei"
Sì sentì stanco tutto d'un tratto. Aveva camminato troppo e parlato a lungo. Si guardò intorno in cerca di una panchina per riposare. Eccola lì, ferma, immobile, pronta ad accogliere le sue natiche vecchie e rugose.
Pensò che in fondo era questo il segreto per restare a galla, convincersi che ogni avvenimento fosse solo un caso, qualcosa caduto da un grosso elicottero senza alcuna logica. Senza alcuna spiegazione. Forse bisognerebbe essere un po' come il vento, sfiorare senza toccare, esserci ma senza convinzione. Vedere ogni cosa, senza fermarsi a guardarla.
Ma erano solo i pensieri di un vecchio, di uno a cui del mondo non fregava più un cazzo.
Diede una pacca al dorso della panchina, un  goffo ma sincero gesto di conforto :
"oggi ti è toccato il mio culo".
Chiara

mercoledì 20 dicembre 2017

Mi manchi

Al di là della tua finestra il mondo si prepara al Natale e alla fine di un altro anno. La fine di un anno che vorrei dimenticare, quello che ti ha portato via. Fa male tenere in mano questi regali e questo biglietto su cui manca il tuo nome, fa male non aver pensato cosa regalarti. Fa male il tuo posto vuoto a tavola.
Chissà quando passerà questo nodo alla gola, forse mai.
Al di là della tua finestra il mondo si prepara a festeggiare, nonostante questo vuoto abbia sostituito il suono della tua risata.
Le luci brillano come se nulla fosse cambiato. Eppure tutto è cambiato.
Torno a casa col viso bagnato, con una sensazione di malinconia soffocante.
Poi ti scrivo. Ti scrivo perché è l'unica cosa che faccio quando non riesco a parlare.
Ti voglio bene.
So che te l'ho detto un miliardo di volte ma ho imparato che bisogna dirlo, oltre che dimostrarlo. Non oso immaginare come mi sentirei ora se non te l'avessi mai detto, se non te l'avessi ripetuto ad ogni occasione.
Ti voglio bene.
Il Natale, le luci, il mondo e tutti quei negozi addobbati non lo sanno, ma tu si, ed è la sola cosa che conta.
Chiara.

venerdì 1 dicembre 2017

Storia di Victor e di chi in realtà non muore.



"Lo Sai" disse con aria greve
"Mi manca"
Lei lo guardò con tutta la dolcezza che aveva raccolto nella sua vita e provò a trasmetterla con poche parole
"Lo so che ti manca, manca a tutti, ma lui mica è sparito"
Victor restò perplesso di fronte a questa affermazione, ci mise un po' prima di elaborarla
"se non è sparito dove si è cacciato?"
E allora lei gli raccontò una storia. Gli raccontò che quando una persona muore, la si può trovare dentro a qualsiasi cosa, se si guarda con attenzione. Le disse "Se osserviamo il mare, sarà nel mare. Se osserviamo le montagne sarà sopra una cima innevata e se osserviamo un prato, beh sarà sicuramente tra i fiori, quindi Victor ora devi solo osservare con attenzione e desiderare di rivederlo dentro a ciò che stai guardando"
Lui ci pensò su qualche secondo e poi le chiese "Quindi se guardo bene il cielo lo vedrò tra le stelle?"
"Sono sicura che lo troverai lì"
Victor restò scioccato di fronte a questa nuova scoperta. Pensò che sarebbe stato bellissimo guardare dalla finestra il cielo ogni sera prima di dormire. Quel giorno si sentì agitato ed ansioso, o forse emozionato. Non vedeva l'ora che arrivasse la sera. Cercò di far passare il tempo in tutti i modi, persino i compiti gli sembrarono utili, voleva solo riempire quelle ore in attesa del suo cielo stellato.
Sentiva la mancanza di suo padre come se gli avessero strappato una parte del suo corpo. Gli mancava tutto di lui, la sua risata, il suo odore, le sue braccia forti che lo sollevavano, gli mancava persino il timbro della sua voce quando lo sgridava. Ma soprattutto gli mancava chiamarlo, gli mancava in modo incredibile il suono della parola Papà uscire dalla sua bocca.
Quella sera Victor a cena mangiò velocemente, corse a lavarsi i denti ed indossò il pigiama al rovescio. Andò in camera sua e si mise seduto sul letto davanti alla finestra. Eccolo il suo cielo, poche stelle si scorgevano tra le nuvole, ma si convinse che fosse sufficiente. Fece un sospiro e si mise a fissare quel blu intenso di tanto in tanto punteggiato. Ma niente da fare, del suo papà non vide nemmeno l'ombra. Stette a fissare quel cielo per molto tempo, ma nulla cambiò. Forse quella sera papà era stanco o forse era uscito con gli amici. Forse quella sera suo padre aveva mal di testa e non gli andava di farsi vedere, o forse lui non era abbastanza bravo ad osservare le cose. Sconsolato Victor sbuffò. Prese Kenny, il suo  coniglio di pezza , lo strinse tra le braccia e si infilò sotto le coperte. Sentì gli occhi annegare nelle lacrime. Il suo papà non era nel suo cielo stellato.
Passarono i giorni ma Victor non volle più guardare il cielo, preferiva non pensare a quella stupida storia, non voleva aspettare qualcuno che non sarebbe mai più tornato. Non voleva provare nuovamente, quella sensazione di abbandono. Aveva persino tentato di osservare con attenzione e concentrazione altre cose, ma non era servito a niente.
Un pomeriggio Victor impugnò il manubrio di Tempesta e pedalò furiosamente senza una meta, era arrabbiato. Arrabbiato con sua madre che lo aveva illuso raccontandogli una favoletta stupida, era arrabbiato col cielo, con suo padre ed era arrabbiato con sé stesso per aver creduto davvero di poterlo rivedere.
Pedalò con così tanta energia e rabbia da ritrovarsi sul sentiero che accostava il bosco. Era ormai autunno, ottobre aveva colato su ogni cosa i suoi colori caldi. Le foglie erano ovunque intorno a Victor ed erano bellissime. Fino a quel momento non si era nemmeno reso conto che fosse autunno.
Scese dalla bicicletta e l'appoggiò ad un albero. "hai visto Tempesta, hai visto quante foglie?, sono cosi tante che ci si può tuffare dentro"
E così lo fece, Victor prese la rincorsa e si tuffò su quel tappeto morbido ed umido. Rise, rise come non gli succedeva da tempo. Gli sembrò di essere ancora sul tappeto di casa sua, quando suo papà lo sfidava coi cuscini e poi insieme rotolavano rimanendo senza fiato. Così lo vide, si rivide insieme a lui. Ebbe persino la sensazione di sentire il suono della sua risata e senza nemmeno volerlo disse nuovamente quella parola che gli mancava così tanto, "papà".
Era bello poterla dire ancora, sentire quelle lettere uscire dalla sua bocca, vive.
Non era un cielo stellato, ma un tappeto di foglie.  Ecco dove si era cacciato il suo papà.
Capì che non sarebbe stato lui a decidere dentro quali cose lo avrebbe rivisto, ma sarebbe stato suo padre a farsi trovare.
Gli fu chiaro in quel momento che le persone che perdiamo diventano inevitabilmente, ciò che nella vita ameremo di più. Da quel giorno, Victor, avrebbe amato l'autunno per sempre.
Quello fu il primo incontro con suo padre, e l'autunno fu il suo primo amore.
Poi Victor si innamorò del Punk, di Poe, si innamorò dell'oceano. Si innamorò del grigio di Berlino e di un gatto randagio. Si innamorò delle fossette di Bea e di un Bistrot nel quartiere degli artisti a Parigi. Si innamorò di una piccola barca a vela.
Suo padre avrebbe vissuto sempre lì, nel pulsare meraviglioso della vita, dentro la bellezza di ogni cosa inaspettata.
Chiara.

mercoledì 22 novembre 2017

Viaggi su misura .

Quando parlo di viaggi e dei luoghi che vedo, parlo sempre omettendo cosa significhi per me affrontare un viaggio.
Per prima cosa significa organizzarlo spesso nei minimi dettagli, che poi possono sempre subire variazioni, ma è importante per me non fare mai le cose in modo troppo superficiale .
La prima cosa da fare se decido di viaggiare in aereo è prenotare l'assistenza. Cosa che mi ha salvata sempre. Le volte in cui non l'ho fatto, me ne sono sempre pentita. Avere a disposizione una carrozzina per evitare di attraversare un aeroporto a piedi, che per me sarebbe davvero stancante, è fondamentale. Se pensiamo al JFK di NY, doverlo attraversare significa fare km a piedi. Cosa che influirebbe troppo su stanchezza e dolori. Prenotare l'assistenza significa anche non stare in piedi durante le code per il check in ed a volte evitare le scale, sia per scendere alle piste che per salire sull'aereo. Insomma tutta la stanchezza dell'aeroporto viene notevolmente diminuita.
Quando sono stata a NY per me è stato importante valutare anche tantissime altre cose. Abbiamo scaricato una cartina della metro in cui venivano segnalate tutte le stazioni munite di ascensore. Evitare tutte quelle scale per le mie gambe è stato di vitale importanza. Quindi con mappa sul cellulare sapevamo sempre dove era meglio scendere o salire. Avevamo le cartine per i bus. E sulle stesse cartine digitali, tutti i luoghi di interesse con i vari take away vicini, per evitare di girare troppo a vuoto.
Suddividevamo sempre le giornate in due parti, per avere la possibilità di riposare almeno 2 orette il pomeriggio. Ho visitato NY sempre con stampella e con antinfiammatori e antidolorifici a portata di mano. Ciò nonostante arrivavo spesso a fine serata strisciando e con dolori praticamente ovunque. Quando sono stata su Skye in Scozia, mentre andavamo a consumare l'ultima cena della vacanza in un pub, la mia rotula si è fratturata. Così, all'improvviso, mentre camminavo. Ho trascorso una notte da incubo nel B&B e la giornata seguente da inferno all'aeroporto. Non avendo prenotato l'assistenza mi è stata data una carrozzina da utilizzare solo fino al gate e poi con un ginocchio rotto, ho dovuto arrangiarmi a fare tutte le scale. Per poi affrontare 2 ore e mezza di volo e il viaggio in auto da Bologna a Brescia. Quindi no, non è mai facile.
Ma a volte trovo che le persone ragionino troppo in modo semplicistico. Quando vedono che una persona con difficoltà fisiche ed economiche viaggia, il primo pensiero è "beh allora non sta poi così male". Vorrei dire a queste persone che si può viaggiare anche se si hanno pochi soldi, risparmiando, facendo sacrifici e adeguando il viaggio alle proprie possibilità. E soprattutto,che si può viaggiare nonostante i problemi fisici. Stringendo i denti, evitando di lamentarsi per ogni cazzata e prendendo tutte le precauzioni possibili.
Si viaggia ognuno a proprio modo. Esiste un modo diverso per fare qualsiasi cosa. Il mio è su misura per me.
Quando devo partire non penso mai alle cose che potrebbero andare storte, penso solo che sto realizzando un nuovo sogno.
Pochi mesi dopo la frattura alla rotula, avevo un volo per Valencia prenotato. Non l'ho disdetto, non ha vinto il timore. Il mio corpo è questo, è fragile, che io sia al supermercato vicino a casa mia, che io sia dall'altra parte del mondo.
A volte è vero vince la sua fragilità, ma quando vinco io, ecco quella si chiama VITA.
Chiara

Un tempo piccolo

Ci sono periodi in cui sento forte e chiara la motivazione di chi fa scelte estreme. Di chi decide di mollare un mondo che lo opprime per tornare a vivere una vita quasi primordiale.
Ci sono momenti in cui l'unica cosa che vorrei è niente.
Una manciata di salute, un po' di anni di vita, il vento in faccia e una mano da tenere durante lunghe passeggiate.
Rinuncerei a tutto.
A volte mi guardo intorno e mi sembra di vedere un miliardo di vite impazzite, che corrono contro un tempo che non basta mai. Il lavoro, la burocrazia, gli uffici, gli appuntamenti, le scadenze, carte da compilare, documenti da presentare, il traffico, i semafori e mille pensieri che si sovrappongono in continuazione. Non vi viene mai la tentazione di premere PAUSA?
Ho sempre la profonda convinzione che sia tutto sbagliato, che abbiamo fatto un gran casino, che abbiamo esagerato in tutto. Che ci siamo spinti verso una realtà dove gli impegni ed i doveri sovrastano i sentimenti, i piaceri, il tempo per sé stessi. La sensazione che abbiamo dato priorità a qualcosa che forse non lo meritava. A volte sembriamo programmati solo per per sistemare pratiche prima della nostra dipartita, siamo costretti a credere che il dovere sia al di sopra di qualunque piacere. Sembriamo soldatini caricati a molla per arrivare in tempo agli appuntamenti. Per risolvere situazioni che dovrebbero andare in un certo modo ma puntualmente subiscono intoppi, ritardi, disguidi e come cavallette saltiamo da un ufficio all'altro, per rimediare ad uno sbaglio che qualcun altro ha fatto.
Siamo stanchi, perché risolta una questione, se ne presenta un'altra. Accantonato un problema ecco sbucarne uno nuovo.
Poi aspetti, aspetti. Aspetti risposte, conferme, esiti, aspetti una chiamata, un messaggio, una email. Aspetti anche quando non c'è più tempo per aspettare.
Allora succede. Succede che inevitabilmente immagini un cottage fatto di pietre, sull'oceano, sprovvisto di tv e di Wi-Fi, dove l'abitazione più vicina dista chilometri, dove il rumore più forte è quello del vento. Inevitabilmente immagini una coperta e due panini, un paio di birre e una lanterna. Immagini il silenzio, una zuppa sul fuoco e tanti libri a riempire le pareti. Immagini di non avere bisogno di niente. Perché quello che hai in realtà è tutto. Un tempo per non avere fretta, un tempo senza orari, un tempo per chi ami e per ciò che adori fare. Un piccolo tempo, quasi spoglio, ma talmente ricco da non sentire il bisogno di chiedere altro.
Un tempo per essere chi sei e non per essere ciò che fai.
Chiara

giovedì 16 novembre 2017

a Joshy !

Ho scritto questa piccola fiaba pensando ad Anna un'amica che di professione fa la maestra di sostegno. Tutto nasce da ciò che spesso mi racconta dei suoi bambini, in particolare Joshy che lo scorso anno le ha rubato letteralmente il cuore. Un bambino dalle mille difficoltà, ma che le ha saputo donare infinite emozioni. So che è piuttosto lunga e richiede un po' di tempo, ma ci tenevo a condividerla con voi.

Joshy era uno scoiattolo, Joshy era un Erede.
Chi erano gli Eredi? Gli Eredi erano i custodi della natura. Nascere Erede significava avere il potere di far continuare il corso della natura.
Era un ruolo di infinita importanza.
Ogni anno nella Notte dei Racconti ogni Erede dal più giovane al più vecchio, si radunava in un punto preciso della foresta con il compito di raccontare una storia che fosse legata alla natura. Gli eredi erano grandi narratori. Era inciso nel loro DNA.
Ad ogni storia narrata la natura rispondeva, e con un getto di luce proiettava il Frutto che la storia narrata avrebbe fatto nascere.
Potevano essere dei fiori in Amazzonia, un ruscello in Canada, delle fragole selvatiche in un bosco dall'altra parte del mondo. Solitamente i Frutti più grandi nascevano dalle storie dei più anziani. Ma ogni Frutto dal più piccolo, al più grande, aveva lo stesso identico valore. Era la natura che non moriva.
In un mondo minacciato dal cemento, essere un Erede significava essere un guerriero, un eroe.
Joshy lo sapeva bene. Era il più piccolo della sua  famiglia e questa sarebbe stata la sua prima Notte dei Racconti. Era emozionato e terrorizzato allo stesso tempo. Non perché fosse un codardo, tutt'altro, ma perché fin dalla nascita non era mai riuscito a pronunciare una sola parola. Nemmeno la più facile. Nemmeno la più piccola. Tutto ciò che usciva dalla sua bocca erano rumori, dei suoni strani che sembravano provenire da un altro pianeta.
Eppure nella sua testa galleggiavano milioni di parole, storie, canzoni, discorsi di ogni tipo, ma ogni volta che li afferrava per farli uscire, non ne era in grado. Come se una forza superiore a lui lo bloccasse. Come avrebbe fatto a portare la sua storia in dono alla natura? Aveva cercato di trovare infinite soluzioni ma tutte con esiti negativi "è inutile che scrivi ragazzo, la natura non legge, la natura ascolta", "gli altri non possono leggere la storia al posto tuo,  proprio perché è la tua storia" e via dicendo.
Nessuno degli Eredi poteva astenersi alla Notte dei Racconti, solo se un Erede si fosse presentato senza una storia, allora la natura lo avrebbe escluso per sempre. Questo era il destino che Joshy vedeva incombere su di lui.
Gli stambecchi delle montagne erano scesi e avevano portato la data stabilita, tra esattamente quattro giorni sarebbe scesa la prima neve della stagione e la prima neve corrispondeva alla Notte dei Racconti. Gli stambecchi non sbagliavano mai.
Anne era una scoiattolina di qualche anno in più di lui. La sua migliore amica di sempre. L'unica in grado di capire quel suo modo strano di comunicare. Anne intuiva più di tutti, la sua ansia e la sua frustrazione. "Non ti preoccupare" aveva detto "io so che dentro alla tua testa c'è un mondo meraviglioso, qualcosa accadrà, ne sono sicura". Lui le aveva sorriso, aggrappandosi a quella speranza.
Passarono i giorni e la Notte dei Racconti arrivo'.
Joshy si avviò con il padre e la sorella, Eredi come lui, verso il luogo di ritrovo nel bel mezzo della foresta. Vedeva il nervosismo negli occhi di suo padre, già rassegnato a perdere il contributo del figlio in questa missione che durava da secoli. Doveva essere un momento di gioia ed invece l'aria era pesante ed il silenzio tra di loro lo era ancora di più.
La neve aveva iniziato a scendere all'alba ininterrottamente ed un malto soffice e pieno ricopriva già di molti centimetri il suolo.
Arrivarono puntuali al luogo di incontro, alcuni degli Eredi erano in postazione intorno al fuoco, altri stavano arrivando. Joshy si sentì gli occhi addosso, tutti lo stavano guardando con una certa pena, capì che nessuno dei presenti, credeva nei miracoli.
L'Erede più saggio ed anziano, un orso Bruno di nome Ermes a cui tutti nel bosco si rivolgevano per avere consigli di qualsiasi genere, diede il via alla preghiera di iniziazione, una sorta di "permesso" per interagire con la natura. Poi i racconti ebbero inizio.
Il primo a raccontare fu proprio Ermes, raccontò una storia meravigliosa di quando attraversò la foresta sfidando una tormenta di neve per portare il cibo ai propri cuccioli, fu emozionante. La natura rispose puntuale, una luce calda uscì dal falò verso il cielo. Proietto' l'immagine di un grande ruscello, ricco di pesci. Tutti applaudirono con grande entusiasmo, era un Frutto meraviglioso, degno della storia narrata.
Era il turno di Bill, per lui come per Joshy era la sua prima Notte. Ma Joshy conosceva bene Bill, era un riccio chiacchierone che non conosceva timidezza, avrebbe sicuramente fatto un ottimo lavoro. Bill si schiarì la voce e raccontò del suo primo bagnetto nel ruscello, di come sconfisse la paura di annegare e di come fu divertente giocare con i suoi fratelli, raccontò degli scherzi in acqua e delle risate che ci furono. Fu un racconto divertente, e davvero coinvolgente. La natura rispose con la stessa puntualità, un raggio di luce disegnò tre piccoli fiori, bellissimi, con i petali gialli e viola, al centro di un prato. Tutti applaudirono e dissero che era un gran traguardo per essere la sua prima volta. Poi fu il turno di sua sorella e poi quello di Clare, una volpe bianca di una bellezza incantevole. Tutti diedero il loro contributo e fu tutto talmente entusiasmante e magico che Joshy dimenticò completamente l'ansia e la preoccupazione. Fino a quando la voce di Ermes lo svegliò dal suo sognare "tocca a te piccolo Joshy, manchi solo tu".
Joshy sembrò cadere dalle nuvole. Tutti lo stavano fissando.
Toccava veramente a lui. Sua sorella gli sorrise e gli sembrò di vedere il sorriso dolce di Anne.
La neve ormai aveva coperto ogni cosa. Pensò ai disegni bellissimi che la natura proiettava, a quel suo modo universale di comunicare e di farsi capire.
E allora anche lui capì.
Si concentrò intensamente sulla storia che da mesi ripeteva nella sua testa. Iniziò così con le sue piccole zampette a tracciare solchi sul manto bianco e puro della neve. Non erano certo disegni artistici, ma tutti gli animali presenti sembrarono capire. Disegnò sè stesso quando era un cucciolo, davanti alla porta della sua tana. Si disegnò col musino all'insù, gli occhi grandi e spalancati, colmi di stupore, la sua piccola lingua fuori dalla bocca ad assaggiare quei fiocchi freschi che cadevano dal cielo. Tutti videro così la sua storia, quando per la prima volta scoprì la neve. Aggiunse al disegno tanti piccoli cuori tutti intorno per trasmettere la sua gioia e l'emozione di quel giorno. Poi si sedette e con gli altri attese. La natura non fù puntuale, passarono minuti che a lui parvero secoli. Poi accadde, la luce uscì dal fuoco e proiettò il disegno di una macchia di funghetti bellissimi ai piedi di un albero maestoso. Lo riconobbe, tutti lo riconobbero era l'albero più vecchio e grande della loro foresta. La natura gli aveva fatto un regalo. Joshy avrebbe potuto assistere alla nascita del suo Frutto e vederlo giorno dopo giorno. Come a ricordargli che ce l'aveva fatta. Quei funghetti gli avrebbero ricordato in continuazione che era uno scoiattolo speciale, ma allo stesso tempo era proprio come tutti gli altri. E che quel suo mondo luminoso che aveva dentro, in un modo o nell'altro sarebbe uscito. Se non a parole, in tanti, tantissimi altri modi.
Un vento lieve si alzò ed il fuoco piano piano si spense. Joshy sorrise, era un Erede.
Avrebbe contribuito a non far spegnere la memoria antica di una natura in pericolo.
Era un eroe senza parole, ma con mille storie ed emozioni da raccontare.
Chiara

venerdì 10 novembre 2017

godiamoci il vento



- Te lo ricordi quel giorno?
- Quale?
- Quello in cui abbiamo preso in mano la nostra vita e abbiamo deciso che nemmeno il cancro l’avrebbe rovinata.
- Un pochino però c’è riuscito !!!
- Vero, ma un pochino cos’è davanti a questo sole, a queste onde che ci cullano, davanti a questo cielo che si lascia solleticare dalle vele. Davanti a tutte questa gente che ride e dimentica, a queste persone a cui brillano gli occhi? Che cos’è il cancro davanti a tutto questo? Diventa più piccolo anche lui, non trovi? sebbene sia cosi spaventosamente grande, le persone trovano le loro cure per affrontare tutto. Le cicatrici restano e talvolta bruciano, ma se gli si dona tutta la bellezza possibile non avranno mai il sopravvento.
Tutta questa gente che lotta per le proprie rivincite in fondo ha già vinto e tutte queste vele raccontano proprio questo, la storia di chi ha preso in mano la sua vita nonostante tutto.
- Sai una cosa?
- Cosa ?
- Credo che il giorno in cui riprendi in mano la tua vita sia ogni volta che vivi fregandotene del dolore, e credo anche sia un giorno impossibile da dimenticare.
- Lo credo anche io, ora però godiamoci questo vento. 

 Chiara

In vela !

Il dolore in vela :
Lo si annega, c’è acqua in abbondanza
Si può dipingerlo di azzurro, di verde, di blu …
Lo si può spargere nel vento e lasciarlo andare lontano
Si può condividerlo con gli altri, cosi da farlo diventare più piccolo e leggero
Lo si porta a spasso mostrandogli che c’è qualcosa di stupendo, che non esiste solo lui.
Lo si spiazza, dandogli dimostrazione di coraggio e di voglia di libertà .
Spesso lo si dimentica, lo si lascia lì in un angolino come a dire : VINCO IO !!!!!!!!!!!
Lo si confonde cambiando rotta, cambiando direzione alle vele.
Lo si stordisce di risate .
Lo si acceca con il riflesso del sole sull’acqua che brilla .
Ma soprattutto il dolore lo si accetta, come del resto si fa con la gioia, lasciando le certezze a riva e improvvisandosi marinai.
(Chiara)

Resistere !

E allora tu resisti.
Resisti all'intemperie, alla nausea, ai dolori.
Resisti al bruciore di ogni cicatrice, alla paura, agli incubi di notte.
Allora tu resisti.
Resisti all'incertezza, alla debolezza, al fiato corto. Resisti alla puzza di medicinale, ai buchi sulla pelle, alle piastrine che crollano.
Allora tu resisti.
Resisti alle rinunce, ai giorni che non passano, alle lenzuola che graffiano.
Resisti ad un mondo che non è più il tuo mondo, resisti alle visite, alle corse contro il tempo, agli aghi che senti trapassarti il cuore.
A quei denti aguzzi sul collo, che non mollano la presa.
Allora tu resisti.
Resisti.
Chiara

Elfetta e Dino il vagabondino

C'era una volta e c'è tutt'ora una piccola elfetta. Occhi grandi grandi e ciglia lunghe lunghe.
Mani piccine ed un sorriso che brilla.
Questa piccola elfetta, ricevette un giorno in dono un unicorno dotato di ali. Era un unicorno vagabondino, una razza rarissima. Vagabondino perchè ovviamente vagabondava.
Era sufficiente cavalcarlo e sussurrare il luogo desiderato, per trovarsi al posto giusto.
Galoppa galoppa, svolazza svolazza, ed eccola lì !!!!!
Accadde cosi che risero, parlarono e si strafogarono di muffin e cioccolata calda. Si abbracciarono e poi si dissero:
"Ci vediamo presto sorriso splendido"
"Ci vediamo presto occhi splendidi"
Da quel giorno in poi ogni km che le separava sarebbe stato spazzato via, da un piccolo, colorato, alato unicorno vagabondino.
Chiara

non è un film ...

Quando ero bambina adoravo le sere dedicate alla visione di un film.
Ci mettavamo dopo cena su poltrone e divano, si spegneva la luce, si sgranocchiavano schifezze e si guardava un film.
Quando eravamo più piccole il giovedì c'erano sempre i film della Disney in tv, poi sono arrivate le videocassette ed il primo videoregistratore. Ricordo mio papà arrivare a casa con pile di videocassette. Ma ricordo soprattutto quando ci portava con lui nel negozio di noleggio e ci faceva scegliere. 
Adoravo perdermi in mezzo a tutte quelle copertine e locandine. E nonostante morissi di paura, mi piaceva avventurarmi nel settore Horror. 
Circondata da quelle immagini terrificanti, mi sentivo super cazzuta ad affrontarle da sola. Io e mia sorella siamo state abituate fin da piccine ad avere a che fare col cinema, passione che poi ci siamo portate addosso tutta la vita.
Era emozionante andare in videoteca, sembrava quasi di varcare le porte di nuovi mondi, di infinite avventure. 

Una volta mio padre scelse un film con Schwarzenegger forse Commando o Danko, non ricordo più, comunque una stronzata simile. Io avrò avuto circa 8 anni, il film finiva con Schwarzenegger che rivolgendosi al nemico con quella sua aria da vero duro, sputava con cattiveria e convinzione assoluta un "VAI A FARTI FOTTERE !!!!!!! " e poi bang, lo ammazzava !!!
Qualche sera dopo mio padre mi chiamò per la cena, ma io ero tutta indaffarata a giocare, così mi chiamò nuovamente e poi ancora, mi girai verso di lui e con disarmante naturalezza gli dissi "vai a farti fottere" e bang mi ammazzo', con uno sculaccione talmente sonoro da sentirne tutt'oggi l'eco in certe giornate di vento a favore.
Quel giorno imparai tre cose fondamentali :
la prima era che "vai a farti fottere" non si addiceva al mio papà ;
la seconda che la vita non era un film;
la terza, che i film mi piacevano cosi tanto proprio per questo motivo, non erano affatto come la vita.
Chiara

venerdì 3 novembre 2017

Dettagli

È strana la tua casa ora che non ci sei più.
Prendo quell'ascensore e sento già il nodo in gola stringersi. So che una volta che si aprirà la porta non ci sarai tu ad accogliermi come facevi sempre, sfilandomi la giacca e dandomi un bacio sulla guancia. Con le tue ciabatte, gli occhiali appesi al collo e un maglione a caso, che qualcuno ti aveva comprato e tu semplicemente indossavi.
Mi siedo su quel piccolo divano e non trovo il tuo pc acceso, i tuoi fogli, non trovo la tua sigaretta elettronica appoggiata da qualche parte.
Penso a quante volte ho visto i tuoi dettagli sparsi in giro e che silenzio adesso crea la loro assenza. Non sento più il tuo profumo.
Diventa inevitabile provare una sensazione di tristezza indescrivibile. Tutto quello che eri e tutto quello che non hai più voluto essere è lì, in ogni angolo della casa. Fa male sai??? È come prendere il cuore e trafiggerlo con milioni di spilli.
Verrebbe quasi da fuggire lontano.
Ma ho imparato col tempo che a volte il dolore degli altri viene prima del proprio e così caccio via le lacrime ed il magone. Provo ad ignorare quei maledetti spilli e cerco in ogni anfratto del mio corpo uno spiraglio di energia, una minuscola ancora a cui aggrapparmi. Sorrido alla tua Fra e tento di alleggerire anche solo un briciolo del suo immenso dolore, o almeno mi illudo che sia così.

Manchi, e a dispetto di questa mancanza, io ti voglio ogni giorno che passa sempre più bene.
Chiara

giovedì 2 novembre 2017

leaves

Tu dammi una panchina in un mondo d'autunno, io ti darò sorrisi da regalare al vento.
Chiara

Protocollo 37 - ciò che ho perso


Ho perso tutti i miei nonni
Un gatto
Ho perso Marina e Marina
Ho perso un ginocchio, un pezzo di femore, i legamenti e un mozzicone di muscolo.
Ho perso molte persone lungo la strada.
Ho perso la gamba destra di mia sorella.
Ho perso parecchie diottrie.
Ho perso Faber ed il Signor Cohen.
Una volta ho perso i capelli.
Ho perso un criceto ed un coniglio nano.
Ho perso un amico che mi ha salvato la vita.
Ho perso un mazzo di chiavi e la pazienza.
Ho perso parecchie lezioni di economia e di tedesco.
Ho perso Robin Williams.
Ho perso un lavoro tempo fa.
Ho perso mille volte il mio rossetto preferito.
Ho perso la mia amica immaginaria quando ero piccola, tutto d'un tratto, puff è sparita.
Ho perso alcuni ricordi.
Ho perso il sorriso centinaia di volte, ma quello torna, lo fa sempre.

Chiara

Neil, un altro amore.


Neil Gaiman è uno scrittore, sceneggiatore e fumettista britannico. Ma soprattutto è un uomo in grado di creare mondi. Ed è nella lista dei grandi amori della mia vita. Leggo i suoi libri da molti anni e senza ombra di dubbio ritengo il suo modo di scrivere tra i più affascinanti in assoluto.
La sua poetica eleganza mista a volte alla sua velata ironia è ciò che di lui amo di più. Ma in realtà la sua straordinaria capacità, quella che secondo me lo distingue da chiunque altro, è il saper trasformare il macabro in qualcosa di naturale. La sua scelta di scrivere racconti horror per bambini e ragazzi è coraggiosa tanto quanto quella di Tim Burton. Forse proprio per questa scelta, entrambi, non hanno mai goduto di un numeroso seguito di fans, soprattutto in Italia, mi verrebbe da aggiungere.
"Il figlio del cimitero" per esempio, narra di un bambino cresciuto dai morti di un cimitero. È difficile riuscire a non rendere spaventoso agli occhi di un bambino un racconto simile, ma nell'avanzare della storia tutto vi sembrerà naturale. Giocare tra le tombe, imparare l'alfabeto con i nomi incisi sulle lapidi e fare amicizia con i figli morti di una famiglia sterminata. Nobody questo è il nome del bambino, vive il suo cimitero come un qualsiasi bambino vive la sua casa.
Occorre una notevole intelligenza ed un'immensa sensibilità, per riuscire a trattare il tema della morte quando lo si racconta a lettori così giovani.
Gaiman affronta tutte le paure dei bambini, anche quelle più profonde e le trasforma in mondi magici e non sempre ciò che è magico è perfetto. In una società in cui tutti scongiurano la morte, con tentativi vani di una vita pressoché eterna, Gaiman restituisce alla morte il suo diritto di essere naturale, tanto quanto la vita. Non la rende bella anzi, la fa sembrare talmente definitiva da risultare un inno alla vita. A vivere. Giocare con la morte lasciandole comunque appiccicata addosso la parola "FINE" , è talmente complicato che solo pochi scrittori possono concedersi il lusso di farlo.
Ovviamente la morte non è l'unico tema, sebbene sia ricorrente. Gaiman gioca con la magia, la spiritualità, prende gli dei li scaraventa in terra e li rende umani, crea mondi sotterranei che non sempre sono migliori del mondo reale. È uno scrittore adulto che sa essere fanciullo senza alcuna difficoltà, come se avesse preservato e custodito la sua infanzia in un cassetto dentro sé, senza mai archiviarla. Ma non nel modo in cui facciamo tutti, è come se fosse realmente in grado di tornare bambino, sebbene in certi libri torni ad essere un adulto a tutti gli effetti.
Io sono dell'idea che i bambini abbiano bisogno di storie come le sue, anche di quelle più macabre. Penso che certi temi se affrontati nel modo giusto, debbano far parte di noi dai primi anni di vita. Allontanare il concetto della morte e della sofferenza non farà che renderle più spaventose ai nostri occhi il giorno che ne conosceremo il volto.
La fantasia di Gaiman è pressoché infinita, intreccia tristezza e gioia, magia e realtà, luce ed ombra come rami in autunno. Donando la giusta malinconia, ma senza rinunciare alla bellezza.
Non ha la presunzione di farci credere che i suoi mondi fantastici siano migliori del mondo in cui viviamo, anzi spesso è esattamente il contrario. Non cerca la perfezione nei mondi che inventa, forse perché consapevole, che un mondo perfetto, non possa esistere nemmeno se uno prova ad inventarselo.
Non vi resta che innamorarvi di lui, se ancora non lo avete fatto.
Chiara

poesie nel mondo

Se c'era una cosa che amavi fare, era viaggiare.
Ogni volta che raccontavi dei tuoi viaggi gli occhi ti brillavano. Conosco a memoria tutte le tue storie ed avventure. Eri bravo a raccontarle, riuscivi sempre ad emozionarmi e poi a farmi ridere.
Così ho fatto una promessa a me stessa e soprattutto a te. Tutte le volte che metterò i miei piedi in un luogo nuovo, ti scriverò una piccola, minuscola, impercettibile poesia sopra ad un quasi invisibile pezzo di carta. La lascerò sotto un sasso, su una panchina o magari tra le radici di un albero.
Ti porterò ovunque. Saprò che i tuoi occhi vedranno posti meravigliosi e che continuerai a fare in modo diverso ciò che tanto amavi, ti donero' nuove storie da raccontare.
Da oggi, il mio prossimo viaggio sarà anche il tuo.
Sai Enzo a cosa continuo a pensare?? A quando da solo, in mezzo al deserto, hai preso dalla macchina il tuo fornellino da campeggio, la moka e seduto all'ombra di un cactus ti sei bevuto il caffè.
Ti prometto, che se mai un giorno riuscirò a vedere il deserto, ti scriverò una piccola, minuscola, impercettibile poesia sopra ad un quasi invisibile pezzo di carta e la lascerò lì, all'ombra di un cactus.
Con amore
Chiara

lunedì 16 ottobre 2017

mancanze

Cosa mi manca?
I monologhi nei film, gli assoli nella musica, le canzoni che durano più di sei minuti.
La minuziosa e maniacale cura dei dettagli.
Chiara

nel mio autunno

Ti ritrovo nell'autunno, nelle venature delle foglie, nel loro colore caldo e nello scricchiolare che fanno sotto ai miei piedi.
Nella tazza di tè fumante che stringo tra le mani.
Ti ritrovo quando respiro a fondo, a pieni polmoni quest'aria cristallina che mi fa sentire viva nonostante manchi il timbro della tua voce.
Ti ritrovo dentro ai raggi di un sole che resiste, che si fa spazio, che sembra volermi dire di non mollare.
Ti ritrovo nella sera che arriva presto col suo buio e ti mette addosso la voglia di stringere forte chi ami.
Ti ritrovo nel silenzio delle strade, nella pace che emanano le case quando fuori piove ed io me ne frego di non avere l'ombrello.
Ti ritrovo in questo ottobre che più di ogni altro mese sa scrivere poesie, sa consolare lacrime. Sa disegnare ricordi con i suoi lunghi rami intrecciati, a chi come me ne va cercando.
Chiara

martedì 10 ottobre 2017

il tuo cuore grandissimo

Eri piccino ed io mi sono sempre chiesta "come fa un cuore così grande a stare in un corpo così piccolo?" Eppure ci stava, anzi eppure non poteva che appartenere a te, tutto quel cuore.
Mi da fastidio questa vita che continua anche senza di te, come si permette? Come faccio a ridere, a mangiare ad uscire se tu non ci sei più? Ecco il pensiero che mi tormenta "tu non ci sei più". Non ci sarà più la tua voce, la tua ironia, la tua gentilezza, la tua galanteria, i tuoi occhi a dirmi che tutto andrà bene. Non ci saranno più le lunghe telefonate, le cene, il mio prenderti in giro.
Non ci saranno più tutti i tuoi racconti di una vita bellissima, che amavi. La tua insaziabile curiosità verso il mondo.
Quel giorno sul prato ti dissi che dovevi aggrapparti a quel raggio di sole, perché è alle piccole cose che ci si aggrappa. Oggi so che tu quel sole non lo vedevi più.
Ti voglio bene, un bene che cascasse il mondo ti raggiungerà in ogni angolo in cui ti fermerai per prendere una pausa, fumando il tuo sigaro.
Grazie per aver salvato e poi illuminato la mia vita.
Grazie per avermi donato la tua preziosa e meravigliosa amicizia
Con tutto il mio amore.
Tua per sempre amica.
Chiara

vorrei trovarti lì

Ho il tuo hard disk. Mi avevi dato questo pacchetto regalo senza alcuna ricorrenza, lo avevi visto online e avevi pensato a me, "la tua pirata preferita"!!
Conservo ancora le tue parole :
"Forti i 2Tb eh.... Riempilo! Un abbraccio grande. E."
E così un giorno l'ho proprio riempito, di film, di serie tv e di libri! E la prima cosa che ho fatto è stata portatelo a Padova, perché ti facessero compagnia nel tuo piccolo appartamento. Ma invece di trasferirli sul tuo, che era identico al mio, ci siamo più semplicemente scambiati l'hard disk, "uno vuoto in cambio di uno pieno, è il mio giorno fortunato" mi hai detto.
E così oggi io ho il tuo. Non so come mai continuo a pensarci. Forse perché era un tuo oggetto. Forse perché un hard disk è una memoria esterna ed io continuo a fantasticare che un giorno lo collegherò al pc e ci troverò tutti quei ricordi di te, che per qualche ragione avevo dimenticato. Sai quelle piccole cose che dici "questo non me lo ricordavo più" e sei felice per aver ritrovato un particolare minuscolo che la memoria aveva nascosto in un angolino remoto.
Un tuo gesto, una tua battuta, qualcosa della tua adorata Los Angeles, il titolo di un libro di spionaggio, un abbraccio dato con leggerezza. Tutte quelle nozioni che conoscevi a memoria sulle portaerei. Ogni volta che invece di portarti il vino, ti portavo il chinotto e gli occhi ti si illuminavano come quelli di un bambino.
I mille scontrini dei caffè che abbiamo preso, così fieri ed orgogliosi di aggiungere i nostri 3 cucchiai di zucchero.
E poi tutti, tutti, tutti i tuoi sorrisi, senza tralasciarne neanche uno.
Vorrei che i nostri momenti insieme, anche quelli piccolissimi, fossero lì sul tuo hard disk, salvati, incisi, custoditi. Dove niente e nessuno può sbiadirli, nemmeno il tempo.
Li metterei al sicuro dentro una cartella che porta il tuo nome.
Chiara.

mercoledì 20 settembre 2017

Eilidh


Eilidh
Sua madre era una strega. E così la madre di sua madre e la madre della madre di sua madre, una generazione di streghe centenaria.
Non era facile essere una strega in un'epoca in cui le ragazzine della sua età sembravano uscite da riviste di moda. Così perfette, così glam, così tutte uguali. Persino il suo nome suonava come una nota sbagliata, Eilidh, chi mai si chiamava con un nome tanto arcaico?
A volte passava le ore a guardarsi allo specchio per capire cosa non funzionasse nel suo aspetto. Non che fosse brutta, ma nonostante facesse di tutto per poter assomigliare alle altre, c'era sempre qualcosa in lei, nei suoi lineamenti, che non si adeguava. Come se la sua natura prendesse il sopravvento. La verità era, che non sarebbe mai apparsa come una qualsiasi ragazza della sua età e lei non lo sopportava.
In quanto alle magie si sentiva negata. L' unico incantesimo che era riuscita ad imparare era accendere contemporaneamente nove candele in una stanza, formulando con un certo ordine delle parole bizzarre. Ma cosa mai potesse servirle una tale sciocchezza, non ne aveva davvero idea.
Sua madre non faceva che ripeterle di avere pazienza, tutto sarebbe stato compiuto a suo tempo. "Sei ancora una bambina e la magia ha paura dei bambini, arriverà quando non sarai più un pericolo per lei".
Ma Eilidh desiderava scatenare temporali, sparare fiamme dai palmi delle mani, trasformare tutti quei principini spocchiosi della sua scuola in ranocchi verdastri. Era o non era una strega? Accendere candele non la divertiva per niente.
E poi non era una bambina. Non lo era affatto.
Ovviamente nessuno era a conoscenza della sua vera natura, era un segreto da tramandare. L'umanità aveva sempre disprezzato le streghe per il fatto che le temeva, del resto si sa, quando l'uomo teme qualcosa lo distrugge.
Eppure, nonostante nessuno sapesse chi fosse veramente, era come se tutti lo avvertissero e le stavano alla larga.
La cosa che però la tormentava di più, era l'amore. Ad una strega non era concesso. Esse si servivano dell'uomo solo per procreare. Ed il frutto di qualsiasi rapporto, sarebbe stato sempre e per sempre di sesso femminile, come un incantesimo eterno. Un maschio non poteva essere strega. Tutta la sua famiglia era composta da donne e così come la sua, tutte le famiglie di streghe nel mondo.
A lei era piaciuto Will quando aveva 10 anni e Lucas a 12. Non era del tutto sicura che fosse amore, ma qualcosa aveva provato.
La risposta di sua madre era sempre la stessa "E' normale tesoro mio, finché la magia non avrà occupato tutto lo spazio nel tuo cuore, ci infilerai sempre qualcuno per colmare il vuoto di qualche anfratto, ma poi non ci sarà spazio per nessun altro, l'unica cosa che amerai sarà la magia",
"E tu?, non amerò più nemmeno te mamma?"
"Oh si che mi amerai, mi amerai col sangue, la cosa più forte che ci lega e che non mente mai"
A lei sembravano tutti discorsi assurdi senza alcun senso, eppure il giorno in cui la magia prese ogni millimetro del suo cuore tutto cambiò. A 14 anni e un giorno, la sentì arrivare. Spiegare ciò che sentì è cosa impossibile, ma fu straordinario. Fu come sentirsi intera dopo una vita in cui si era sentita a metà, e cosa ancora più strana, sentì il cuore esplodere non di dolore ma di pace, capì che ora non ci sarebbero più stati anfratti vuoti e soli dentro di lei. Capì che si sarebbe bastata. Essere strega significava anche questo, non affidare la propria felicità a qualcun altro. Significava essere nati per unico scopo, che non dovevi cercare, sperimentare o capire era dentro di te, stoico e potente.
Finalmente non essere come gli altri era un dono, la magia aveva compiuto il suo primo miracolo. Era una strega, niente sarebbe più stato come prima e per un attimo le parve di sentire il vento invocare il suo nome.
Chiara

lunedì 18 settembre 2017

ribellle !

C’era in me un’irrefrenabile voglia di vivere, nonostante i miei stupidi capelli si arrendessero giorno dopo giorno restando inermi sul cuscino, fregandosene del mio volere.
C’è sempre stata in me una vita scalpitante ed impaziente, anche mentre la legavo al letto costringendola a stare calma, prendevo tempo cercando di ingannarla. Certi giorni la sentivo urlare capricciosa e vogliosa di giocare, era difficile domarla.
Avevo imparato a ripeterle a voce bassa: “non ho la forza adesso per portarti in giro, non ho la forza, ma l’avrò ” e funzionava, per qualche ora si calmava, socchiudeva gli occhi ed aspettava.
Solo per qualche ora, fortunatamente.
Alla mia vita ribelle ed impertinente io devo la vita.
Chiara

io ...

Non sono mai stata una ragazza acqua e sapone, ho sempre amato marcare i tratti del mio carattere sul mio viso, amo la sensualità accesa di rosso che sporca ogni parola che pronuncio.
Sono sempre stata così , con la testa immersa nelle nuvole e la mani in cerca di qualcosa.
Ho sempre creduto nei sogni, e nella corsa che devi fare per raggiungerli.
Mi sono persa milioni di volte nel testo di una canzone ed ogni volta per ritrovarmi c'è voluto impegno e volontà. Ho sempre avuto questa ossessione per le parole, sono così libere che afferrarle non è sempre facile, spesso ti scivolano via come pesciolini rossi.
Ho sempre avuto un amore incondizionato per la vita, per i colori che usa nel disegnare le sue storie.
C'è sempre stato in me il desiderio costante di esserci, di immergermi senza troppe domande , come a dire "sono qui e non voglio perdermi niente".
Chiara

domenica 17 settembre 2017

Ricami

Ho ricamato l'anima alla mia ombra
La addestro ad una nuova vita.
Imparerà a camminare senza paura,
in vicoli bui a testa alta.
Imparerà ad attraversare la notte senza sentirsi morire dentro ogni singolo rumore.
Imparerà ad affrontare e sostenere qualunque sguardo.
Imparerà la meravigliosa leggerezza di una passeggiata solitaria e che quel tratto di strada per arrivare a casa è più breve di come le era sempre apparso.
Scoprirà cosa si prova a non sentire più quell'istinto che ti spinge ad accelerare il passo.
Ho ricamato l'anima alla mia ombra
Imparerà a vivere senza il suo vulnerabile corpo.
Sarà al sicuro da qualsiasi spietata, mostruosa ed insensata vendetta.
Solo così, in qualunque angolo del mondo non avrà più bisogno di sentirsi protetta, cancellerà finalmente quella sottile differenza tra uomo e donna.
Chiara

Capricci

Quando hai fame mangi.
Quando sei troppo stanco dormi.
Quando hai freddo ti copri.
Quando ti prende la voglia ti tocchi.
Quando sei felice o troppo triste alzi il volume della musica.
Ma quando ti brucia il cuore? Non puoi certo toglierlo e riporlo in una scatola.
Non puoi piegarlo  nell'armadio insieme ai vestiti quando la stagione cambia.
Non lo puoi conservare nel freezer in un sacchetto, aspettando il giorno che lo scongelerai.
Non puoi metterlo in un baule nell'attesa che la moda cambi.
Quando il cuore brucia non c'è alcuna soluzione pratica. Lo tieni li dove è sempre stato, accettando i suoi umori.
Come il capriccio del vento quando ti spettina, attendi  che passi.
Chiara

Comodini impolverati

C'è chi si è sfilato la voglia di vivere di dosso come si fa con una collana, l'ha appoggiata su un comodino col pensiero di indossarla il giorno dopo.
Poi per chissà quale ragione,  il giorno dopo se ne è dimenticato e il giorno dopo ancora e ancora, fino a rimanere li a prendere la polvere, a perdere importanza.
Fino a perdere completamente il ricordo di quanto fosse bello indossarla.
Io la voglia di vivere la indosso come una collana saldata che non si può più sfilare. Ho deciso di metterci persino qualche goccia di colla per essere certa che non si apra mai.
Per essere sicura che qualsiasi cosa accada io non possa perderla. Per avere la certezza che nemmeno nei momenti peggiori la tentazione di toglierla vinca. Bisogna fottere il peggio quando decide di arrivare. Mentre ci guarda dritto negli occhi per farci paura, deve sapere che nemmeno stremati ci sfileremo la nostra voglia di vivere come ad arrenderci.
Che non ci abbasseremo mai ad appoggiarla distrattamente su un comodino impolverato.
Chiara

Trip

C'era una cosa a cui pensavo ad ogni trasfusione, un pensiero fisso che tornava puntuale ogni volta che, quella sacca appesa, mi nutriva goccia dopo goccia.
Mi chiedevo sempre se non fosse stato  possibile che per qualche assurdo meccanismo, percepissi insieme al sangue, le caratteristiche della personalità del donatore. Immaginavo quindi che una volta a casa avrei iniziato a manifestare comportamenti a me sconosciuti. Avrei potuto iniziare a coltivare interessi di ogni genere che prima ignoravo. Avrei potuto  per esempio darmi alle crostate di marmellata, sarei potuta diventare una femminista convinta, una vegana, o provare tutto d'un tratto interesse per la botanica. Sarei potuta tornare a casa e sentire l'irrefrenabile desiderio di uccidere gatti. Avrei potuto iniziare a rubare oggetti nei negozi. Sarebbe potuto accadere di tutto.
Trasfusione dopo trasfusione avrei smesso di essere me stessa. Avrei assimilato l'acidità di Linda, l'insicurezza di Amelia, l'introversione di Paolo e chissà quali e quante altre personalità.
E come me, nel mondo, milioni di persone sarebbero diventate un insieme di tante altre persone, non più le stesse. Mutate per sempre. Milioni di persone avrebbero smarrito la loro identità, non sarebbero mai più state le stesse di prima. Avrebbero perso la cosa più importante della loro vita, loro stessi.
Poi la sacca finalmente vuota, mi portava alla realtà, di lì a poco mi sarei sentita decisamente più forte, nient'altro che questo.
Da allora non ho mai smesso di lottare x essere me stessa, anche quando mischiarsi sarebbe più comodo, anche quando fingere sarebbe molto più facile, anche quando scontrarsi fa sicuramente  più male.
Il mio sangue dice sempre chi sono, pulsa nelle mie vene senza mentire mai, è la parte più vera di ognuno di noi.
Lo ascolto e so chi sono.
Chiara

Grazie per i tuoi occhi

Tra tutte le tue nipoti tu hai scelto me.
Due occhi verdi e dentro ad essi le sfumature di ciò che sono.
Sono passati ventitre anni da quando i tuoi occhi verdi come i miei, si sono chiusi per sempre.
Voglio credere che ogni orizzonte che scruto, ogni sole che vedo, ogni luogo che osservo, io lo stia guardando anche per te, attraverso i tuoi occhi. Voglio credere che ogni volta che il mio  sguardo si posa su una persona a te cara, tu da qualche parte, possa gioire.
I tuoi occhi splendono sul mio viso come un'eterna, inconsumabile e preziosissima eredità.
Con Amore infinito
Chiara

Che GIUOIA giuoisa

A volte penso di arrivare da un universo parallelo, mi guardo intorno e non ci capisco niente. Un fico secco.
Mi spiego, alcune persone amano usare i social per trasmettere ciò che non sono, per come dire, "confondere le acque". Ciò che mi sconcerta è  la loro felicità a tutti i costi per esempio.
Magari ti chiamano per dirti che sono in crisi e depressi, poi però come per magia, ti trovi la bacheca invasa da loro foto che sembrano raccontare momenti di felicità totale.
Ed io rimango lì , come un'interdetta.
Se il mondo fosse quello delle foto sui social sarebbe un mondo straordinario, di gente che si diverte sempre e fa cose bellissime ed ha amici stupendi che adorano. Famiglie perfette da mulino bianco, serate indimenticabili con luci perfette e con quei colori di un film a lieto fine.
Tutti a far cose strafighe, eventi di ogni genere, tutti soddisfatti e felici. C'è chi è felicemente alle Maldive e chi felicemente afferma che niente è più straordinario del proprio divano.
C'è chi è felicemente ad una festa imperdibile e chi è felicemente da solo, con la sua birra e la sua serie tv preferita. Ciò che conta è essere tutti felici, soddisfatti, realizzati e non sia mai che gli altri non lo sappiano. Anzi, è l'elemento chiave, gli altri devono sapere della loro sgargiante giuoia.
Tutti felici in questo universo di felicità assoluta.
Poi che ne so esci una sera, ti guardi attorno, ed i tavolini sono invasi da coppie che non si parlano più. Locali gremiti di gente con il cellulare in mano e tavolate di amici lobotomizzati dal nuovo IPhone.
Mamme isteriche che invocano tutti i santi perché i bambini fanno i capricci, adolescenti in cerca di Pokémon e gruppetti di amiche che ridono solo in occasione di un selfie, per poi spegnersi nuovamente in un secondo.

E se ci fai caso, come se non bastasse, c'è sempre in sottofondo musica di merda.

Menomale che poi torni a casa, apri fb e fai un sospiro di sollievo perché sono tutti nuovamente felici. Era solo un brutto sogno ...

Con giuoia immensa
Chiara.