sabato 16 maggio 2020

Come in un film

Se sei fortunato, prima che arrivi l'estate, quando l'aria è ancora pungente e soffia ancora il vento, puoi vedere Coney Island immersa nella sua malinconia.
Semi deserta.
Con le luci del luna park che illuminano un oceano indispettito ed il cielo che riflette una palette di sfumature violacee.
Senza alcuno sforzo puoi sentire il cigolio affannoso delle cabine spente, della grande ruota panoramica.
Ti senti come una comparsa arrivata in ritardo  alle prove di un film, di cui la sola cosa che resta è la scenografia.
E mentre mangi il tuo hot dog di Nathan's che sai benissimo che non ti sazierà, ti lasci prendere in giro dalla dolce sensazione che la tua vita non finirà mai.
Chiara
(Coney Island Aprile 2017)

Quel tuo mezzo sorriso

Ho creduto troppo ai tuoi sorrisi.
Ed ho pensato ingenuamente che i tuoi occhi malinconici potessero tornare quelli di un tempo.
L'averti conosciuto a fondo, per poi scoprire di non aver capito abbastanza.
È l'inganno eterno dei legami umani.

Ultimamente sono più malinconica del solito sai? Sarà questo delirio o forse sarà che invecchio.
Sarà sicuramente che mi manchi.
Alcuni dicono che una persona cara quando muore in realtà non ci lasci mai veramente , vorrei che fosse vero e soprattutto che mi bastasse.
A volte per non rimbecillirmi mi ci aggrappo anche io a queste illusioni, certi giorni funziona.
Altri decisamente no.

Oggi avrei bisogno della tua bussola per tornare a casa sana e salva.

Faccio fatica a comprendere un certo modo di trattare le vite degli altri come fossero numeri senza significato, come fossero merce di basso costo.
A me la vita me l'hai ricucita tu, con la tua conoscenza e la tua dedizione.
Con i tuoi occhi gentili.
Non la indosso mai come qualcosa di certo, ma come un indumento che potrebbe scucirsi da un momento all'altro.
Per questo ho imparato a trattarla con cura, per questo non permetto a nessuno di sputarci contro.
Guardo questa fotografia e mi lascio commuovere da quel mezzo sorriso.
Ricordo bene la felicità di quel giorno e per un momento ritrovo la calma di cui avevo bisogno.

Ad Enzo
Sempre con amore
Chiara

martedì 3 marzo 2020

Vincent e il cimitero di Eriskay

Questo racconto non è solo per Enzo, ma per tutte le persone che ho perso in questi anni.

Non è un racconto su ciò in cui credo, perché non credo. È un racconto che vuol restituire un po' di libertà. Quando qualcuno di caro muore, egoisticamente desideriamo che continui a vegliare su di noi, a starci accanto e talvolta addirittura vorremmo che continuasse ad aiutarci nei momenti difficili. Quello che desidero io per loro invece, è che possano finalmente prendere le distanze da tutte le nostre sofferenze, le nostre paure ed angosce. Voglio immaginare Enzo lontano da tutto il dolore, dalle complicazioni, dalle lacrime, dalle responsabilità.


Vincent amava godersi il tramonto seduto lì, su quella collinetta che gli ricordava così tanto la vita. Ogni giorno aspettava quel momento con trepidazione. Dopo averlo odiato per anni, ora iniziava a trovare in quel luogo una sorta di pace.
Inizialmente non era stato per nulla semplice, la rabbia era l'unico sentimento che riusciva a provare, era così tanta e così forte che aveva persino creduto che non si fosse mai più placata.
Vincent aveva undici anni e avrebbe avuto undici anni per sempre. Il giorno in cui tutto finì era un giorno apparentemente normale.
Sì era svegliato con fatica, aveva fatto colazione con riluttanza e con ancora più riluttanza si era preparato per andare a scuola.
Era stata una mattinata come tante, noiosa. Ogni giornata senza la lezione di scienze per lui era noiosa. Era il suo sogno, diventare uno di quegli scienziati che grazie alle loro scoperte, cambiano il mondo.
Il pensiero che lo emozionava di più in quella mattinata di Settembre, era il dopo scuola.
Sarebbero andati, lui ed alcuni compagni di classe, al vecchio castello per una esplorazione tra i ruderi. Continuava a fantasticare su tesori nascosti e spiriti dispettosi.
Alla mamma aveva detto una bugia "andiamo tutti a fare i compiti da Peter". Nessun genitore con del buon senso, avrebbe permesso una visita a quel rudere traballante che rischiava di cadere a pezzi da un momento all'altro. Così era servita una bugia. Piccola ma doverosa.
Non ricordava quasi nulla di quell'istante. Ricordava solo uno scricchiolio, un piede messo nel punto sbagliato e poi il vuoto. Metri e metri di vuoto.
La sua voce incastrata nella gola. E poi il buio.
Per quanto si sforzasse di mettere a fuoco i particolari, tutto gli sembrava offuscato.
Sì era convinto che forse questa amnesia, giocasse a suo favore, chi mai vorrebbe ricordare i dettagli della propria morte?

"Vincent, Vincent non ci crederai mai"
Qualcuno lo risvegliò dai suoi pensieri.
Sì trattava del suo amico Timothy Jackson, nato il 13 febbraio del 1912 e morto il 13 febbraio 1921, il destino a volte possiede un senso dell'humor a noi incomprensibile.
"Ciao Tim che succede!??"
"il vecchio Gregg vuol cambiare cimitero, dice che questo è pieno di stolti"
"Non può farlo e lo sa benissimo, è contro il regolamento"
"Glielo stiamo ripetendo tutti, ma è talmente furioso con Miss Kelly che non sente ragioni"
"Che novità, quei due sono ormai due secoli che litigano, ma poi fanno sempre pace e lui di nascosto le porta dei fiori"
"Proprio così Vincent, si si hai proprio ragione, succede sempre così. E tu? che ci fai qui Vincent?"
"Guardo il tramonto, mi piace guardare quella palla arancione inzupparsi nell'oceano, mi fa sentire un po' meno morto."
"Sai cosa dice il vecchio Gregg?"
"Sentiamo" disse Vincent senza troppa convinzione.
"Dice che se si raggiunge il punto esatto in cui il sole entra nell'oceano, lo si può vedere sciogliersi nell'acqua. Dice che l'acqua piano piano diventa gialla e poi arancione e in fine rossa. L'acqua assorbe il calore del sole e diventa bollente e gli spiriti come noi, possono tornare per un istante a sentirla sulla pelle, proprio come quando eravamo carne"
Vincent rimase per un attimo in silenzio, era una bella storia, ma sapeva benissimo che le storie del vecchio Gregg erano solo quello. Storie.
"Il vecchio Gregg dice un sacco di fesserie Tim, dovresti averlo imparato"
Vincent diede un ultimo sguardo all'oceano, salutò l'amico e si avviò verso la sua lapide.
Guardò le date incise sulla pietra e non poté fare a meno di pensare che di lì a un mese avrebbe compiuto quindici anni.
Non riusciva a farne a meno, nonostante tutti gli avessero ripetuto un miliardo di volte, che non serviva ad un bel niente, lui continuava a contare gli anni che passavano come quando era vivo.
"Gli spiriti sono gli esseri più cocciuti al mondo, smetterai di farlo senza che qualcuno te lo imponga mio piccolo Vincent".
Miss Kelly lo ripeteva sempre. Lei lo capiva più di chiunque altro. Miss Kelly era morta di una morte dolce, come amava dire lei. A novantatre anni, sulla sua poltrona, in una notte di neve, davanti al suo camino mentre dormiva. Per questo non era mai arrabbiata. L'unico in grado di farla arrabbiare era il vecchio Gregg, ma questo valeva per tutti.
"È normale, piccolo mio che tu sia tanto arrabbiato, è normale che tu non riesca ad accettare ciò che sei diventato, la tua vita era un prato pieno di fiori ancora da raccogliere , ci vorrà del tempo per accettarlo e tempo per imparare a non essere più vivo."
Un'altra verità che Miss Kelly gli aveva insegnato era, che esisteva una sola cosa comune a tutti gli spiriti ed era il desiderio primordiale di tornare a casa, di interagire con i famigliari e gli amici, di provare con tutte le forze a creare un contatto.
"Non appena uno spirito apre gli occhi nella sua nuova dimensione, sente l'impulso immediato di tornare indietro, perché c'è sempre qualcosa di non detto o di non fatto che resta in sospeso tra le persone, teso come il filo del bucato. Con la differenza che le cose non dette, non profumano mai di buono", ripeteva sempre Miss Kelly.
E così era successo anche a lui.
Dopo solo un'ora dalla sua morte era corso, se così si può dire di un fantasma, giù per la collina ed era arrivato in men che non si dica, davanti alla porta di casa sua. Doveva chiedere scusa ai suoi genitori, doveva dire loro che era dispiaciuto per aver mentito quel giorno, per aver detto una bugia tanto stupida.
Ma niente da fare, nessuno lo vedeva e nessuno sentiva la sua voce. Sua madre piangeva senza sosta e lui non poteva abbracciarla. Non poteva dirle che non era sparito del tutto, ma che era lì, in modo diverso ma era lì. Tutto inutile, nessuno dei suoi tentativi era servito a qualcosa. Vincent ritornò a casa sua ogni giorno, per due anni consecutivi.
Era convinto che vederli senza essere visto, gli sarebbe bastato. Ma se una persona non mangia da mesi, il profumo di un arrosto non gli basterà, quel profumo sarà come un pugnale che lento trapassa lo stomaco. Ecco cosa provó Vincent giorno dopo giorno nella sua dannata ostinazione.
Da bimbo aveva sempre sognato diventare invisibile come un super eroe, ma ora esserlo davvero, era la sensazione più frustrante che avesse mai provato. Piano piano smise di tornare, piano piano il desiderio di vedere la sua famiglia ed i suoi amici, divenne prima paura e poi rassegnazione. Non sopportava più nemmeno il momento in cui, qualcuno gli portava un fiore.
Guardò un'ultima volta le due date sulla lapide e gli fu chiaro un pensiero: "Era il gioco della morte, un gioco crudele!"
Ti portava in una nuova dimensione come fosse un proseguimento, come se tutto andasse avanti. Per poi invece dimostrarti con glaciale strafottenza che tutto era finito.
Ogni volta che aveva tentato di creare un contatto ma senza alcun successo, era stato come morire un'altra volta.

Quella sera Vincent e Tim andarono a trovare Miss Gwyn.
Era Dicembre ed il cimitero in inverno assumeva un'aria quasi romantica. Le lapidi innevate avevano un fascino particolare ed evocavano un sentimento contraddittorio, era buffo vedere tutto quel bianco rivestire con delicatezza il nero della morte.
Il ghiaccio aveva formato sulla ghiaia, una patina traslucida che creava riflessi cangianti sul suo corpo vitreo. Non si era ancora abituato a queste stranezze.
Vincent adorava Miss Gwyn, era l'ultima arrivata. Viveva con loro da pochi mesi e nonostante avesse trentasette anni, aveva l'aria di una bambina smarrita. Miss Gwyn se ne era andata in una mattina d'estate, un camion finendo sulla corsia opposta l'aveva travolta e a differenza di Vincent ricordava ogni singolo dettaglio di quel momento.
Quando arrivarono da Miss Gwyn, stranamente non era alla sua lapide, ma seduta sul muretto che dava sul finire della collina. Sia chiaro, un fantasma non ha alcun bisogno di sedersi, sono solo le abitudini che non muoiono mai.
"Salve Gwyn, che strano trovarla qui"
"Salve ragazzi, che bello vedervi. Stasera non mi andava di crogiolarmi sulla mia lapide, non posso continuare così, l'eternità è un tempo piuttosto lungo e non voglio immaginarla così"
Tim sorrise per questa nuova nota positiva nella sua voce. "Sarà così Miss Gwyn, succede a tutti prima poi. Imparerà ad amare la sua nuova dimensione e piano piano la vita di prima perderà importanza, non ne sentirà più la mancanza o almeno non in modo doloroso. Sarà solo un dolce ricordo."
Vincent ascoltava Tim con aria perplessa, per lui era ancora difficile vederla in questo modo, erano passati quattro anni ed il dolore non se ne era ancora andato, era solo indebolito. Non gli piaceva essere uno spirito, si era semplicemente rassegnato. A differenza degli spiriti più anziani come Tim, che aveva si nove anni, ma che ara morto ormai da quasi cento, Vincent non aveva ancora ben chiaro cosa volesse dire essere un fantasma.
"Sai, Miss Gwyn" disse Tim con un sorriso accennato, "Non devi fare troppo caso ai malumori di Vincent, lui è ancora troppo arrabbiato per riuscire a scorgere con i giusti occhi, il lato meno atroce della morte.
Quindi ecco, non fidarti di ciò che ogni tanto borbotta"
Miss Gwyn sorrise e in quel sorriso così timido ma lucente, Vincent rivide la stessa bellezza delle domeniche in primavera.
Che bizzarra era la morte, amava così tanto gli uomini da concedere loro di sorridere ancora.
Vincent provò un'inaspettata consapevolezza, fu come poter sentire ancora il calore dell'alito nelle mani, quando si cerca di scaldarle.
Per la prima volta dopo anni, essere lì non gli sembrò poi così sbagliato.

Il giorno successivo Vincent ebbe visite. I suoi genitori e la sua sorellina arrivarono con nuovi fiori, fiori bellissimi di un color vermiglio acceso.
Ma Vincent non fuggì lontano come aveva fatto per parecchio tempo, restò ad osservarli attentamente. Provò una gioia completamente inaspettata, un'emozione nuova che lo riempì di dolcezza. Si avvicinò a Trisha e si accorse di quanto fosse cresciuta, ora portava due lunghe trecce bionde fermate da due piccoli fiocchetti viola. I suoi grandi occhi castani fissavano curiosi le scritte sulla lapide e a voce bassa  ripeteva quelle poche parole tra sé e sé:
"Sentiremo la tua risata anche nei giorni più bui. Sarà luce."
Vincent le aveva lette tante volte, ma chissà per quale ragione fu come sentirle per la prima volta. Come se il loro senso fosse svelato per la prima volta, dalla voce di sua sorella.
Sua madre finì di sistemare i fiori con quel suo modo di fare attento e meticoloso, si alzò in piedi, tolse il residuo di polvere dalle ginocchia e sorrise a suo marito.
A Vincent sembrò il sorriso di Miss Gwyn, forse proprio per questo adorava stare in sua compagnia. Alcune persone avevano proprio quel tipo di sorriso a cui non puoi resistere, un sorriso che mette a posto ogni cosa, anche la più dolorosa.

Si allontanarono dal cimitero tutti e tre mano nella mano. Vincent in quelle mani intrecciate ci vide la vita, la vita che va avanti e che si fa forza, che trova il modo di restare in piedi. Vedeva in quell'intreccio ogni Natale che avevano trascorso insieme e non solo, ci vedeva anche tutti quelli futuri, quelli che li avrebbero resi felici nonostante la sua assenza. Perché è così che accade e Vincent lo capí solo in quell'istante, accade che la felicità come il dolore, trova sempre un modo per intrufolarsi. Anche quando ci opponiamo, anche quando lo crediamo impossibile.
Li guardò sorridendo, era come guardare il suo tramonto mentre spariva nell'oceano, provava una pace profonda.

"Forse ci siamo ragazzo, forse sei pronto accidenti!!!"
"Pronto per cosa Sir Gregg?"
"Pronto per essere ciò che sei"
"Da quanto tempo mi stava spiando Sir Gregg?"
"Avrebbe importanza? Sono in questo cimitero da più tempo di chiunque altro, mi sono guadagnato da un pezzo il permesso di spiare chi voglio, ragazzino!!!"
Vincent non aveva voglia di discutere col vecchio Gregg, tanto in ogni caso era una partita persa.
" Sei fortunato, sai ragazzino? "
"Mi chiamo Vincent, dovrebbe saperlo ormai"
"Si beh non importa, ragazzino. Sei fortunato ad essere qui, non a tutti gli spiriti è concesso riposare su una collina a picco sull'oceano."
Il vecchio Gregg aveva ragione e Vincent ne era consapevole, era un lusso che non era concesso nemmeno a gran parte dei vivi.
"Per cosa sarei pronto, Sir Gregg? "
"Per essere un fantasma"
"Quello lo sono da un po'"
"ah humbug" sputò il vecchio Gregg, citando qualcuno che era vissuto durante i suoi anni migliori.
"tu non lo sei affatto, nessuno diventa un fantasma fino a quando non lascia andare la rabbia e il desiderio di essere ancora vivo"
Vincent continuava a non capire, fece per rispondere, ma il vecchio Gregg non glielo permise
"forza ragazzino, vieni con me"
Vincent lo seguì più con curiosità che convinzione.
Andarono sul confine della collina dove il vento soffiava così forte da ululare come un lupo durante la luna piena.
"lo senti il vento ragazzino?"
"ne sento il suono, certo"
"Ora concentrati sul suono e lascia che il vento ti trasporti"
Vincent pensò che fosse uno dei soliti scherzi idioti del vecchio Gregg, quelli che si inventava per farti sentire uno stupido.
Piano piano sulla collina arrivarono altri abitanti del cimitero, miss Kelly e Tim furono tra i primi, anche Miss Gwyn non perse tempo.
Vincent capì che non era uno scherzo e che stava accadendo qualcosa di importante.
"Allora ragazzino ti vuoi concentrare? Non ho tempo da perdere e non voglio trascorrere tutta la morte che mi resta aspettandoti"
Vincent si concentrò, isolò il rumore del vento dagli altri suoni, guardò il panorama mozzafiato che si spalancava davanti a lui e poi accadde.
Non sentì il vento addosso, ma sentì di essere lui il vento. Non era più in cima alla collina ma era ovunque nell'aria. Non era come il solito fluttuare di un fantasma, era come far parte della natura. Del cielo, di ciò che lo circondava. Era la sensazione più incredibile che avesse mai provato. Sentì di poter raggiungere ogni cosa, ogni insetto, ogni fiore, ogni essere vivente.
Poi la voce del vecchio Gregg lo chiamò dalla collina.
Vincent si distrasse dal suono del vento e venne scaraventato nuovamente a terra.
"Allora ragazzino, hai perso la voce?"
"Si, cioè no voglio dire, wow!!!!"
Tutti scoppiarono a ridere, tranne il vecchio Gregg che si limitò ad un'alzata di spalle.
"Che cos'è successo? Come ho fatto a farlo? Perché nessuno mi ha mai detto che potevo fare una cosa simile?"
"Calmati ragazzino, datti una calmata accidenti!!"
Miss Kelly capì di dover intervenire, prima che quel vecchiaccio rovinasse ogni cosa.
"Anche se qualcuno di noi te lo avesse detto non saresti comunque riuscito a farlo mio piccolo Vincent" la gentilezza della sua voce fece sparire l'agitazione di Vincent in un secondo.
"Cosa intende dire Miss Kelly?"
"Eri arrabbiato, eri ancora troppo ancorato alla vita di prima. Sai mio piccolo Vincent, quando non vogliamo accettare qualcosa, quando non lasciamo andare il passato è come se mettessimo ai nostri piedi o nelle nostre tasche dei pesi. Questi pesi non ci permettono di tornare a galla a respirare e rischiamo di soffocare, come se i nostri polmoni fossero pieni d'acqua. Capisci cosa intendo? "
" Credo di sì, miss Kelly."
Tim si avvicinò all'amico "ora puoi essere un fantasma Vincent, hai lasciato andare il dolore. La tua rabbia è esaurita. Ora puoi essere vento, onde del mare o l'erba fresca di una collina, è questo il significato di ciò che sei. Non puoi più sentire il vento in faccia, ma puoi essere il vento sul viso delle persone. In poche parole smetterai di essere un moccioso sempre infuriato"
Vincent restò senza parole.
Gli sembrò persino di poter piangere ancora, non per rabbia, ma per un'emozione a cui non riusciva a dare un nome. Un piccolo germoglio stava nascendo nel suo cuore trasparente, un germoglio che sarebbe fiorito, nonostante la neve e nonostante la morte.
Da quel momento in poi la sua vecchia vita sarebbe stata un dolce ricordo, una malinconia leggera e deliziosa. Non era più necessario spiarla e desiderarla. Era come un album di fotografie del passato che restano lì, ferme nel tempo. Vincent era finalmente libero, libero da qualsiasi paura.

L'unico modo per andare avanti è smettere di desiderare ciò che è stato.

Chiara

venerdì 7 febbraio 2020

Un amico come te..

In questi giorni, più esatto dire in questo periodo, sto divorando serie tv, sto andando al cinema ogni volta che posso, ma soprattutto sto leggendo tantissimo. Ho finito un paio di libri nel giro di pochi giorni ed ora sono più o meno a metà del terzo.

Succede sempre così, quando si spalancano momenti difficili. Mi rifugio nei miei mondi paralleli e cerco di immergere i pensieri in un'acqua meno salata.

Il terzo libro è un saggio di Neil Gaiman.
Mentre leggo queste pagine penso a quanto sarebbe stato magnifico da piccola avere come migliore amico Neil.
Lo avrei seguito ovunque, anche dentro ad ogni suo pensiero, ad ogni sua bizzarra immaginazione. Mi sarei rifugiata con lui nei negozi di fumetti, nelle biblioteche e avrei scoperto dei mondi incredibilmente affascinanti.

È un pensiero stupido lo so. Quasi infantile.
Ma è un pensiero che mi culla e di cui ho bisogno.
Ho bisogno di pensieri piccoli per affrontare quelli più grandi.

Ma in fondo i miei scrittori, quelli di cui mi fido, sono inconsapevolmente degli amici  preziosi. Neil più di tutti.
Che mi salva, mi porta lontano, mi accarezza e mi regala ad ogni pagina dei nuovi occhi con cui osservare ogni cosa.

Mi piace l'idea di un amico che fa tutto questo per me senza dovermi per forza conoscere, senza fare domande, senza avere la benché minima idea di quali siano le mie storie.
È stancante doversi sempre raccontare, dover spiegare è stancante farsi capire.
Sono qui con tutte le mie paure e lui arriva con tutte le sue parole, silenziose e senza pretese.

Mi chiedo come si possa vivere senza amici come Neil.

Chiara

mercoledì 21 agosto 2019

Non sono..

Non sono una guerriera.
Non lo sono mai stata.
Sono una persona che a furia di affrontare ostacoli, di notte a volte fatico a prendere sonno e mi agito e mi sembra che il cuore non regga più.
Non sono una guerriera. Sono una persona, esattamente come voi, è questo ciò che dovete capire. Sono VOI, ma con problemi di salute infiniti.
Non ho super poteri, non ho armi, non ho scudi, non ho corazze.
Faccio quello che posso.
Crollo, piango, provo paura, moltissima paura.
Perciò non chiamatemi guerriera né in vita, né dopo la vita.
Non amo le etichette e ritengo che questa parola diventata tanto di moda, lo sia.
Quasi a dare un merito a chi soffre o a chi non c'è più. Non incasellate le persone, perché le persone non sono solo ciò che dimostrano durante il loro percorso di malattia, sono molto altro.
Con gli anni ho capito che usare il termine "guerriero" appiccicandolo ad ogni malato è ingiusto. Fa di lui qualcosa che non sarebbe mai voluto essere. È come dirgli "che bravo che sei, sorridi nonostante tutti quei buchi sulla pelle". Non so, a me suona come biscottino ad un cane, dopo aver dato la zampa. Dare del guerriero a chi lotta è come dare del fallito a chi non lo fa. Come se esistessero regole, come se qualcuno avesse stabilito chi tu debba essere durante la tua malattia. Come se esistesse un giusto o sbagliato. Non trattate i malati con tale sufficienza.
Non ho mai raccontato le mie esperienze per farmi dire che sono forte, o per imporre a qualcuno di esserlo. La forza non appartiene solo ad alcuni, è in tutti noi. Non esistono guerrieri e mezze seghe, esistono solo le persone e le persone come si sa, accusano il colpo e poi reagiscono, ognuno a proprio modo.
Le persone sì, danno esempio, conosco tantissime persone dalle quali ho imparato tanto e che mi hanno insegnato tanto, ma dare loro dei guerrieri è come dargli una responsabilità che non hanno. Perché purtroppo, a volte, arriva un momento che la tua forza e il tuo coraggio non sono sufficienti.
Ho lottato? Certamente, ma per troppa paura di morire. Per l'immensa paura di lasciare tutte queste cose che amo. Nella malattia non si è solo ed esclusivamente una cosa sola. Ci sono giorni che usi le unghie, ci sono giorni che ingoi lacrime, ci sono altri giorni che non sei tu a scegliere. Giorni che sei in balia del tuo star male, che non riesci a decidere nemmeno di aprire gli occhi.
Non siamo guerrieri, siamo persone che fanno ciò che possono per andare avanti anche solo un giorno in più. Facciamo ciò che fareste voi nella stessa situazione.
Non ne posso più di questa parola messa come una medaglia al valore, sul petto di chi avrebbe voluto costruirsi una vita lontano anni luce da tutto quel dolore.
Se Nadia Toffa non fosse morta di cancro, ma in un incidente, non avrei sicuramente letto quel "RIP guerriera" in tutte le vostre bacheche, ma forse più semplicemente un "RIP Nadia".
Ciò significa che la state ricordando solo per la sua malattia e non per la persona che è stata in questi quarant'anni.
Quando sarà il mio momento, ricordatevi che io sono Chiara e non "Chiara che ha avuto il cancro" .

Chiara

Partenza

Il rumore della zip di una valigia che si chiude è uguale al rumore di certe stanze che lasci alle tue spalle e di nuove strade che si aprono davanti ai tuoi occhi.
Chiara
(Agosto 2019)

Se cadi non ti fai male..

Dolomiti agosto 2019

Sono qui su questo piccolo balcone che guarda in faccia il bosco. È la notte in cui le stelle tendono ad inciampare, proprio come me che è da tutta una vita che inciampo.
Che resto in piedi per miracolo ed è proprio questo il mio desiderio più grande, restare in piedi il più possibile.
Mi piace stare qui, lontana dal traffico e dal caos di agosto che fa impazzire le persone.
Molto probabilmente è la vita che sogno, fatta di silenzio, di verde e di respiri profondi a pieni polmoni.
Da quando sono arrivata, ho sentito spesso il desiderio di chiedere scusa ad ogni albero, ad ogni filo d'erba, ad ogni roccia. Scusa per questa immensa ferita che noi uomini portiamo in ogni luogo in cui ci fermiamo.
Per questo brusio fastidioso che infesta anche i luoghi più magici. Il brusio di persone che non sanno più stare in silenzio, nemmeno davanti al panorama più bello del mondo.
Oggi è l'ultimo giorno di questo viaggio e sono stanca, ho male praticamente dappertutto, eppure vorrei poter restare ancora e ancora.
Vorrei poter vivere mille avventure in mezzo a questa natura in grado di sorprendermi così tanto. Vorrei tanto avere molta più forza e molte più energie, mi piacerebbe spenderle su ogni cima e sentiero.
Ma questo è ciò che sono e ciò che sono mi ha insegnato a vivere ogni luogo come fosse un piccolo miracolo.
Spio questo cielo in cerca di stelle e penso che se una di loro dovesse cadere qui, non si farebbe nemmeno male, perché come diceva una canzone : "sembra quasi un mare l'erba".

Arrivederci Dolomiti
Chiara