mercoledì 21 agosto 2019

Non sono..

Non sono una guerriera.
Non lo sono mai stata.
Sono una persona che a furia di affrontare ostacoli, di notte a volte fatico a prendere sonno e mi agito e mi sembra che il cuore non regga più.
Non sono una guerriera. Sono una persona, esattamente come voi, è questo ciò che dovete capire. Sono VOI, ma con problemi di salute infiniti.
Non ho super poteri, non ho armi, non ho scudi, non ho corazze.
Faccio quello che posso.
Crollo, piango, provo paura, moltissima paura.
Perciò non chiamatemi guerriera né in vita, né dopo la vita.
Non amo le etichette e ritengo che questa parola diventata tanto di moda, lo sia.
Quasi a dare un merito a chi soffre o a chi non c'è più. Non incasellate le persone, perché le persone non sono solo ciò che dimostrano durante il loro percorso di malattia, sono molto altro.
Con gli anni ho capito che usare il termine "guerriero" appiccicandolo ad ogni malato è ingiusto. Fa di lui qualcosa che non sarebbe mai voluto essere. È come dirgli "che bravo che sei, sorridi nonostante tutti quei buchi sulla pelle". Non so, a me suona come biscottino ad un cane, dopo aver dato la zampa. Dare del guerriero a chi lotta è come dare del fallito a chi non lo fa. Come se esistessero regole, come se qualcuno avesse stabilito chi tu debba essere durante la tua malattia. Come se esistesse un giusto o sbagliato. Non trattate i malati con tale sufficienza.
Non ho mai raccontato le mie esperienze per farmi dire che sono forte, o per imporre a qualcuno di esserlo. La forza non appartiene solo ad alcuni, è in tutti noi. Non esistono guerrieri e mezze seghe, esistono solo le persone e le persone come si sa, accusano il colpo e poi reagiscono, ognuno a proprio modo.
Le persone sì, danno esempio, conosco tantissime persone dalle quali ho imparato tanto e che mi hanno insegnato tanto, ma dare loro dei guerrieri è come dargli una responsabilità che non hanno. Perché purtroppo, a volte, arriva un momento che la tua forza e il tuo coraggio non sono sufficienti.
Ho lottato? Certamente, ma per troppa paura di morire. Per l'immensa paura di lasciare tutte queste cose che amo. Nella malattia non si è solo ed esclusivamente una cosa sola. Ci sono giorni che usi le unghie, ci sono giorni che ingoi lacrime, ci sono altri giorni che non sei tu a scegliere. Giorni che sei in balia del tuo star male, che non riesci a decidere nemmeno di aprire gli occhi.
Non siamo guerrieri, siamo persone che fanno ciò che possono per andare avanti anche solo un giorno in più. Facciamo ciò che fareste voi nella stessa situazione.
Non ne posso più di questa parola messa come una medaglia al valore, sul petto di chi avrebbe voluto costruirsi una vita lontano anni luce da tutto quel dolore.
Se Nadia Toffa non fosse morta di cancro, ma in un incidente, non avrei sicuramente letto quel "RIP guerriera" in tutte le vostre bacheche, ma forse più semplicemente un "RIP Nadia".
Ciò significa che la state ricordando solo per la sua malattia e non per la persona che è stata in questi quarant'anni.
Quando sarà il mio momento, ricordatevi che io sono Chiara e non "Chiara che ha avuto il cancro" .

Chiara

Partenza

Il rumore della zip di una valigia che si chiude è uguale al rumore di certe stanze che lasci alle tue spalle e di nuove strade che si aprono davanti ai tuoi occhi.
Chiara
(Agosto 2019)

Se cadi non ti fai male..

Dolomiti agosto 2019

Sono qui su questo piccolo balcone che guarda in faccia il bosco. È la notte in cui le stelle tendono ad inciampare, proprio come me che è da tutta una vita che inciampo.
Che resto in piedi per miracolo ed è proprio questo il mio desiderio più grande, restare in piedi il più possibile.
Mi piace stare qui, lontana dal traffico e dal caos di agosto che fa impazzire le persone.
Molto probabilmente è la vita che sogno, fatta di silenzio, di verde e di respiri profondi a pieni polmoni.
Da quando sono arrivata, ho sentito spesso il desiderio di chiedere scusa ad ogni albero, ad ogni filo d'erba, ad ogni roccia. Scusa per questa immensa ferita che noi uomini portiamo in ogni luogo in cui ci fermiamo.
Per questo brusio fastidioso che infesta anche i luoghi più magici. Il brusio di persone che non sanno più stare in silenzio, nemmeno davanti al panorama più bello del mondo.
Oggi è l'ultimo giorno di questo viaggio e sono stanca, ho male praticamente dappertutto, eppure vorrei poter restare ancora e ancora.
Vorrei poter vivere mille avventure in mezzo a questa natura in grado di sorprendermi così tanto. Vorrei tanto avere molta più forza e molte più energie, mi piacerebbe spenderle su ogni cima e sentiero.
Ma questo è ciò che sono e ciò che sono mi ha insegnato a vivere ogni luogo come fosse un piccolo miracolo.
Spio questo cielo in cerca di stelle e penso che se una di loro dovesse cadere qui, non si farebbe nemmeno male, perché come diceva una canzone : "sembra quasi un mare l'erba".

Arrivederci Dolomiti
Chiara

domenica 14 luglio 2019

Sola contro un meteorite

Mi dovettero togliere il chiodo dalla tibia per farci stare la protesi, o uno o l'altro, non c'era spazio per entrambi. Così bisognava a tutti i costi, trovare il modo di sfilare quel chiodo telescopico, che era nella mia gamba da quasi 18 anni.
Fui la seconda bambina in Italia ad avere l'onore e la stramaledetta "fortuna", di possedere un chiodo che prometteva di crescere con me. E proteggermi. Quel mezzo di sintesi si sarebbe allungato pari pari con la mia tibia, nei secoli dei secoli.
Ma quando arrivò l'osteosarcoma, con arroganza e cattiveria decise che non c'era più posto per quel pezzo di ferro vecchio.
Il giorno dell'intervento nemmeno Enzo aveva le idee molto chiare su come toglierlo, così ebbe un lampo di genio (uno dei tanti) e chiamò nell'equipe, il medico che 18 anni prima me lo aveva installato.
Chiusi gli occhi per l'anestesia sapendo che avrebbero improvvisato. Eppure mi addormentai beata.
L'intervento durò 9 ore. Fu un intervento un po' complicato, l'unico modo per poterlo togliere fu fratturare la caviglia, aprirla e sfilarlo da lì.
La mia caviglia non è mai più stata la stessa, tutt'oggi è invasa dall'osteoporosi ed è in perenne "rischio frattura". Mi crea spesso forti dolori e a volte non è molto stabile.
Sì sacrificò per un bene più grande. Per una causa più importante.
Io la immaginai così :
"Sola su un missile spaziale a schiantarsi contro un meteorite per scongiurare l'Armageddon" .
Ma più semplicemente, mi fratturarono una caviglia per salvarmi una gamba.

A volte è questo che bisogna imparare a fare, dobbiamo sopportare dolori più piccoli per salvarci da dolori più grandi.
È necessario nella vita riuscire a guardare le cose in questa prospettiva, per non rischiare di sprecare il tempo crogiolandosi.
Per far la conta di ciò che abbiamo e non di ciò che ci manca.

Chiara

venerdì 21 giugno 2019

L'uomo che offrì il suo piedistallo


Le persone non si separavano mai dal proprio piedistallo, ogni volta che si spostavano non dimenticavano mai di portarselo appresso.
Li vedevi camminare per le strade, andare al lavoro, uscire il venerdì, dirigersi al cinema sempre con in mano il loro inseparabile piedistallo, pronto all'uso.
Poi al momento giusto, a volte anche al momento sbagliato ci salivano sopra.
Le persone amavano ergersi sui loro piedistalli per mostrare a tutti il proprio valore, la propria intelligenza, il proprio bagaglio culturale.
A volte semplicemente, la propria arroganza.
In mezzo a tutte queste persone così saccenti, c'era un uomo, un piccolo uomo. Con mani piccole e un camice svolazzante.
Lui non faceva caso ai piedistalli degli altri e soprattutto non faceva caso al suo piedistallo. Che a rigor di logica poteva essere tra i piedistalli più alti ed imponenti del mondo, se non fosse che al piccolo uomo di ergersi non importava nulla. Tanto che un giorno, un giorno come un altro, mentre si dirigeva al lavoro, vide un ragazzino con le stampelle camminare affaticato.
L'uomo piccolo si avvicinò al ragazzino e non sapendo cos'altro farne del proprio piedistallo, gli sembrò naturale poterlo offrire :
"Mi sembri stanco, tienilo pure, siediti e riposa quanto vuoi."
Il ragazzino sfinito finalmente si riposò e guardò quel piccolo uomo col camice, allontanarsi sorridente.

Mi mancano le persone come te.
Mi manca avere accanto qualcuno che mi insegna senza volerlo.
Che invece di imporre un insegnamento, sceglie di raccontarlo.
Mi mancano i tuoi modi gentili, il tuo stare in disparte, il tuo curioso ascoltare.
Mi manca il tuo cuore.
Seduti su quel piedistallo che non sapevi e non amavi usare, ci siamo sentiti tutti più al sicuro.
Grazie
Con amore Chiara

Il Boss

Chiamarlo concerto sarebbe troppo riduttivo e chiamarlo spettacolo, non gli darebbe giustizia.
Ciò che ha messo in scena Bruce Springsteen a Broadway lo scorso anno è un'esperienza.
Lui da solo sul palco, le luci basse e tre strumenti : il pianoforte, la chitarra e l'armonica.
Ma ciò che ha realizzato, non è "solamente" musica.
Il Boss in questa occasione decide di farci un immenso dono, raccontarci la sua vita come un lungo e poetico monologo, come fosse una voce fuori campo che narra tutto ciò che lo ha reso la persona che è oggi.
E tra un racconto e l'altro, tra una canzone e l'altra, quest'uomo ci prende il cuore per due ore e con mani esperte se ne prende cura.
Credetemi, vi innamorerete di lui, se ancora non lo siete. Per il suo modo di cantare, ma soprattutto per il suo modo di raccontare.
Perché è il racconto, il protagonista principale.

Bruce parla della sua famiglia, del suo difficile rapporto col padre, dell'amore per sua madre, dei suoi sogni da ragazzo, della prima volta che ha toccato una chitarra e della sera in cui ha incontrato sua moglie, quella sua dea dai capelli rossi. Parla degli amici persi nella guerra del Vietnam e lo fa con il nodo in gola .
Attraverso tutte queste storie ci conduce con estrema dolcezza e malinconia nella sua America, un'America che ha amato, odiato e ancora amato, nonostante oggi sia piuttosto preoccupato per come stiano andando le cose.
È un viaggio, un viaggio in cui lui è alla guida e noi siamo seduti sul sedile accanto a goderci il panorama, a goderci il sottofondo musicale, mentre sogniamo ad occhi aperti.

Ipnotizzata, è così che mi sono sentita per due ore. In preda alle emozioni più inaspettate, non riuscivo nemmeno a commentare ciò che stavo ascoltando e vedendo. Con gli occhi lucidi ho desiderato di essere lì davanti a lui e poter applaudire.

C'è un racconto che mi ha colpito moltissimo, quando Bruce parla dell'amore che sua madre aveva per il ballo, del fatto che trovasse sempre un motivo per poter ballare :"ce l'aveva nel sangue".
Poi la madre si ammalò di Alzheimer :"ma ogni volta che sentiva della musica in una stanza, chiedeva di poter ballare, perché quello era più forte del linguaggio e persino più forte della memoria".

È questo ciò che significa essere un artista, essere musicista ed essere una Rock Star, significa trasmettere qualcosa di indimenticabile, significa lasciare un segno indelebile sotto la pelle di chi ti ascolta. Significa non essere un semplice burattinaio di parole, ma far sentire che in tutto ciò che crei, che inventi e che scrivi, c'è la vita che pulsa ininterrottamente. Innumerevoli frammenti di  ricordi mai andati persi, che brillano in ogni canzone e in ogni accordo.

Non fate l'errore di privarvi di questo regalo che Bruce ha voluto farci, a prescindere che la sua musica vi piaccia o meno , fate un gesto di amore verso voi stessi e guardatevi questo spettacolo.
Gliene sarete grati per sempre.
Chiara

giovedì 16 maggio 2019

Non siamo proprio capaci!!!

La magnificenza di American Gods, mi fa subito pensare alla tristezza del cinema italiano e delle nostre serie televisive.
La fotografia, i dettagli, i colori. La recitazione così reale e credibile. I luoghi, l'intensità dei dialoghi, le grandi colonne sonore. L'insieme di queste caratteristiche possono rendere epiche le storie narrate.
Game of thrones passerà alla storia e non per i motivi di cui parlano quelli che non l'hanno mai guardato. Non perché è di moda, non per i suoi draghi. Ma perché è semplicemente stupefacente. Perché i suoi personaggi  sono così abilmente strutturati da sembrare persone reali e gli attori che li hanno interpretati hanno saputo magistralmente rendergli giustizia. Perché nasce da una saga di libri che non ha eguali.  Perché Tyrion, il folletto, non poteva che essere interpretato da Peter Dinklage.
Quando guardo serie tv di questo calibro mi chiedo, in quale caverna oscura si sia persa  l'Italia.
Quando guardo Odino ballare e cantare sul palco di un Burlesque, capisco che niente in Italia potrà mai raggiungere tale perfezione.
Potrei dire Peaky Blinders, che vale la pena di  esser visto, solo per la voce di Nick Cave che accompagna in ogni puntata lo sguardo di Thomas Shelby.
Potrei dire Vikings, The Terror, potrei dire Penny Dreadful. Penso ad Eva Green che affacciata ad una finestra recita Tennyson e mi emoziono ancora, tanto da estrarre e salvare quel frame per andare ogni tanto a riguardarlo.
Molte di queste serie tv sono perle, sono scorci di un'arte da noi dimenticata, lasciata impolverare ed invecchiare. Che ci propina storie trite e ritrite, attori scadenti e una fotografia che pare essersi fermata un secolo fa.
E non è sempre e solo una questione di budget. Andate a cercarvi River, una piccolissima serie Britannica formata da sei episodi. Semplice, intensa, struggente e a mio parere unica.
È talmente grande il suo messaggio, che in sei episodi, saprà dirvi moltissime cose.
È questo che fanno le serie tv, o il cinema. Ci parlano.
Non sono e non devono essere solo semplice intrattenimento, devono raccontarti delle storie, devono darti degli spunti, incuriosirti.
Devono restarti addosso.
Devono essere il più lontano possibile, distanti anni luce da quella immensa oscenità chiamata "La Dottoressa Giò" .
Chiara

lunedì 15 aprile 2019

Notre Dame

Prenotate un volo e partite.
Tenete le valige sempre pronte.
Girate il mondo, andate a riempirvi gli occhi. Prima che tutto sparisca, prima che tutto bruci.
Prima che il mondo, ci si sgretoli addosso.
Tutto sulla terra è precario, niente è eterno.

Il mio cuore piange stasera, ricorda l'emozione provata davanti alla tua bellezza.

Chiara

domenica 7 aprile 2019

Londra io t'amo!

Londra 2019

"Scusatemi miei cari, questa è la porta che utilizzava il Signor Dickens, l'uscita è dall'altra parte". Nessuno mai al mondo mi ha indicato, in modo tanto poetico, l'uscita da un museo.
Questa è la mia Londra. Quella che mi fa sentire al posto giusto, un passo prima sei quasi nel futuro e quello dopo immersa nel passato.
La Londra che amo è quella della Street Art che invade Brick Lane e del punk semi svanito a Camden Town, ma che ci prova lo stesso a non morire. È quella delle librerie immense e dei negozi di fumetti meno battuti, in cui puoi trovare sullo stesso scaffale Neil, Tim Burton e Chris Riddell e ti pare di vivere un sogno.

La Londra che amo è quella che mi fa bere una "India Pale" dove la beveva George Orwell, è la Londra che ti bagna con la sua pioggia improvvisa e poi ti asciuga con un sole su cui non avresti mai scommesso.

La Londra che amo è quella che mi conduce ad Highgate, per portare una penna sulla lapide di  Douglas Adams. È quella che porta i bambini di una scuola elementare in un cimitero a studiare i fiori e te li vedi scorrazzare e ridere e imparare, in mezzo ad un mare di lapidi. Capisci finalmente, che il rispetto per la morte in realtà, è quando la tratti esattamente come la vita.
La Londra che amo è quella che mi chiama da un mondo nascosto, fatto di musei oscuri e misteriosi, di cose bizzarre di cui nessuno parla mai. Luoghi senza pubblicità, che esistono solo per chi, li sa cercare.
È quella dei suoi quartieri sconosciuti, che ti raccontano una città inaspettata.
Quella che ti fa mangiare in mille lingue diverse e che mette ancora musica buona, in certi pub. È quel suo aspetto cupo che quando meno te lo aspetti, muta in una miriade di colori fluo.

La Londra che amo è una passeggiata di lunedì sera lungo il Tamigi. Il ponte finalmente deserto è come un miracolo illuminato e ti senti la voglia di non voler più tornare a casa.

Ci vediamo presto.
Chiara

domenica 24 febbraio 2019

Che l'oceano ti culli..

Oggi pensavo a te, pensavo a quanti sogni e quanti mondi la malattia ti ha rubato e strappato troppo presto. Pensavo agli occhi dolci della tua mamma,alla sua straordinaria forza. Pensavo a quante cose sbagliate e atroci siamo costretti a sopportare.
Pensavo che a vent'anni tutto è troppo presto e la morte è una cosa inaccettabile, è qualcosa che dovresti guardare con un binocolo a miglia e miglia di distanza.

Poi ho preso in mano il mio kindle e ho cercato conforto come sempre in un libro e non un libro qualsiasi, più precisamente in Neil.
E Neil puntualmente mi ha dato la carezza di cui avevo bisogno :
"Lettie non è morta. Lettie è stata affidata al suo oceano. Un giorno seguendo il suo tempo, l'oceano la restituirà".

Che l'oceano ti culli, mio dolcissimo Gabri. Sono certa che laverà via ogni dolore ed ogni amarezza. Ogni tua ingiusta, insensata e non voluta ferita.
Chiara

domenica 17 febbraio 2019

La sua città

Aveva sempre vissuto lì, da che ne aveva memoria, tutto ciò che ricordava della sua terra nativa erano immagini sfocate, senza collocazione.

Ogni venerdì mattina scendeva in strada a comprare del pesce al banco migliore di tutta Chinatown. Era un uomo abitudinario. Le abitudini gli mettevano tranquillità. Lo era diventato da quando la sua vita era stata segnata dalla solitudine. Era un uomo solo.
I suoi figli da anni ormai lo chiamavano solamente a Natale, più per coscienza che per volontà.

Non aveva mai visto nessun altro posto in tutta la sua vita, se non New York.  La sua città era tutto ciò che aveva, forse per qualcuno potrebbe sembrar poco o nulla, ma per lui no. In mezzo a quella folla urlante, tra quei venditori di cianfrusaglie e quelle lanterne un po' fasulle dei ristoranti cinesi, lui stava bene. Durante tutti quegli anni le persone lo avevano tradito, abbandonato e poi dimenticato, ma la sua città, lei, non lo aveva deluso mai.
Era sempre stata lì. Sincera a tal punto da non dover mai mentire pur di sembrare diversa.

Quella mattina il cielo era coperto ed una leggera pioggia canticchiava canzoni incomprensibili sugli ombrelli tesi.
Le persone sembravano sempre impazzire durante i giorni di pioggia. A lui questa facilità di destabilizzarsi degli esseri umani faceva sorridere, bastavano due gocce di pioggia a peggiorare un'intera giornata.

Prese il pesce e tornò a casa. Alle 12:30 iniziava il suo programma televisivo preferito, lo avrebbe guardato mangiando comodamente su quel divano ormai logoro.

Era un uomo stanco. Le sue rughe che apparivano come solchi, ricordavano le Avanues della sua città : luoghi in cui tutto era accaduto e in cui tutto poteva ancora accadere.

Chiara.
(Ph. Chiara Gafforini aprile 2017 Chinatown)

mercoledì 30 gennaio 2019

Cuori, lame e gessi.

Ci si scriveva sopra al gesso.
Tutti gli amici venivano lì armati di pennarelli colorati e ti lasciavano qualcosa.
Il loro nome, un disegno bruttino o qualche scarabocchio incomprensibile.
Il gesso diventava una tela.
A me una volta l'ha firmato Jimmy George, un pallavolista morto troppo giovane.

Passa di lì nella mia via e mi dice : te lo posso firmare il gesso?
Ed io gli dico : certo!
Come se non fossi emozionata all'idea.
Poi quei maledetti dottori in sala gessi, si sono tagliati il quadratino autografato e se lo sono tenuto.

Ma si può? Rubare un autografo ad una bambina, che poi non è che me l'abbiano proprio rubato, mi dissero : ti va bene se questo lo teniamo noi?
Ed io che temevo quella schifosissima lama taglia-gessi, dissi di sì.
Non ti puoi mai fidare di chi ha una lama seghettata tra le mani.

Un giorno un mio compagno di classe ci disegnò un cuore rosso fuoco, non era un bel cuore, era tutto storto. Ma a 8 anni mi sembrò un cuore perfetto, quel genere di cuori che vaffanculo al gesso, mi avrebbe resa felice.

Chiara

Ale!!

Lo so che ci si stanca.
Lo so che la parola "ricominciare" a volte suona come un disco rotto.
Lo so che la noia è una lancetta che non passa e che a volte ci si sente proprio soli.
Lo so che la merda degli uccelli cade sempre sulle stesse giacche.
So che la rabbia, quella rabbia lì ha lo stesso sapore della muffa.
So che le belle parole non bastano.
Lo so che quando una stanza ti imprigiona, il rumore della vita là fuori è come uno schiaffo.
Perché la vorresti consumare fino all'ultimo centimetro.
Lo so che la vita è un filo aggrovigliato con troppi nodi da sbrogliare.
Ma a dispetto di tutto questo schifo, ci sei tu e tu sei Ale. Ti ho visto andare in vela senza paura, affrontare ripide salite in sella alla tua bicicletta. Ti ho visto camminare sulla neve e fare km in macchina senza mai tirarti indietro. Ti ho visto rialzarti milioni di volte.
Ma soprattutto ti ho visto ridere e sorridere in barba a tutte quelle cose andate storte.
E quel sorriso era lì anche oggi, che si faceva spazio nonostante tutto. Ed io lo so che sarà lì anche domani ad incoraggiare i tuoi progetti e tutti i tuoi sogni.
Ci sono ancora tante birre che ci aspettano
Ti voglio bene
Chiara

21 settembre 2018

Un anno senza di te, anche se poi, quando si tratta di te il "senza" non esiste.
Sono cambiate tante cose da quel 21 settembre 2017 ed io non ho più guardato il mondo nello stesso modo di prima.
Perchè succede che quando qualcuno che ami non c'è più, ogni cosa che guardi o vivi, ha sempre un tassello vuoto.
Un piccolo angolo smangiato.
Un senso di incompletezza.
Noi che restiamo, ci raccontiamo che prima o poi quel vuoto si colma, ma non è così.
È la storiella che ci serve per andare avanti.
Io invece quel vuoto lo tengo stretto , perché in quel vuoto che sembra aver preso il tuo posto, in realtà c'è tutto ciò che ricordo di te.
Ci sei tu che sorridi e che manchi.
Ti voglio bene.
Chiara

Manchi tu.

Le transaminasi ed i globuli bianchi vanno bene, persino l'anemia è migliorata.
Ma in questo tripudio di valori vittoriosi, manchi tu che sorridi.
E tra un piccolo dolore articolare e l'altro sento che ti fai spazio, solo che la tua mancanza fa decisamente più male.
Saresti stato felice, o forse dovrei dire che sei  sicuramente felice persino adesso, di queste notizie che inconsciamente io continuo a darti.
Ho un utero fibromatoso, un fegato molto grasso, cisti un po' ovunque e tendiniti che vanno e vengono.
Ho avuto la conferma della diagnosi di polmonite e solo chi ha visto un pezzo d'inferno può gioire che sia "solo" polmonite.
Per questo scoppio a ridere quando puntualmente il Dottor F. mi dice "vai chiara ci vediamo tra un anno, sei sana come un pesce".
Ed io lo so, che da qualche parte nonostante non mi sia chiaro dove, stai ridendo anche tu, mentre guardi questa carretta dagli occhi grandi convincersi persino di non star poi così male.
E mentre per l'ennesima volta il Dottor F. mi resuscita dall'abisso di paure ed incertezze, una lacrima fa capolino.
Vorrei averti qui, in questa mia vita che ha deciso di splendere ancora.
Con amore
Chiara

Incanto

L'aria è fresca, amo la sensazione che provo sul viso in questa stagione, come a ripulirsi da qualsiasi cosa.
Mentre Venezia si fa spazio nei miei occhi e nel mio petto, penso. Penso a quanto sono fortunata ad essere qui ora. In un venerdì di novembre, ad immergere una risata dentro un bicchiere di vino.
Guardo le gondole dondolare, illuminate solo dai lampioni, mi ricordano certe persone a cui basta una piccola luce per trovare la forza.
La sera scende avvolgendo ogni canale col suo scialle ed io vorrei con tutte le mie forze che i miei occhi diventassero una finestra da cui spiare, per chi ora ha bisogno di curare ferite.
A volte la felicità ti piomba addosso, altre  sembra sparita nel nulla , altre ancora devi  andartela a prendere, costi quel che costi.
Ma a volte la felicità è un dono che qualcuno deve farti.
È questo ciò che penso mentre Venezia mi lascia senza fiato, vorrei poter dire a chi ha perso la forza "guarda, guarda la bellezza del mondo, tienila stretta, scioglierà ogni tuo dolore"
Un ultimo sguardo a questo incredibile silenzio fatto di luci danzanti sull'acqua, per un attimo mi sembra di danzare con loro.
Torno guarita.
Chiara

martedì 29 gennaio 2019

Me la cavo bene, grazie!

La felicità non è una ed unica.
La felicità non è universale. Ognuno ha il sacrosanto diritto di essere felice a modo proprio.
So che questo è un argomento complesso e spinoso ma di fondo, in realtà è molto più semplice di quanto possa apparire.
Io non ho figli e non voglio figli. Le motivazioni sono tante, molte legate alla mia malattia genetica, il rischio di trasmetterla, il rischio che le mie ossa non reggano una gravidanza, ma non solo. L'energia è poca e la forza anche. Faccio già molta fatica a prendermi cura di me, ad arrivare a fine giornata senza farmi male, a restare concentrata su dove metto i piedi quando cammino e sul mantenere un equilibrio.
Ma non sono gli unici motivi. Io non ho voglia. Non ho assolutamente voglia di concentrare la mia vita su un bimbo che ha tutto il diritto di essere PRIORITÀ. La mia priorità è divenuta ad oggi "Godermi la mia vita". Soddisfare ogni mio desiderio e realizzare i miei sogni con la persona che ho accanto. La mia priorità è IL MIO TEMPO!!
Che sia leggermi un libro per ore, bevendo un tè sul divano o andare dall'altra parte del mondo. Perché non è una questione di cose grandiose è una questione di prendersi cura di sé stessi.
E non si tratta nemmeno su chi ha ragione e chi ha torto, si tratta che ognuno decide ciò che è importante nella propria vita.
Per questo vorrei che un giorno le persone capissero che la loro realizzazione non è la stessa per tutti. Che la loro visione della vita è loro e basta.
Io non posso e non voglio avere figli. E non voglio né essere compatita, né essere giudicata. Vorrei che avere un figlio o non averlo, avesse sulla società lo stesso effetto.
Perché porca miseria, io sono felice. Ci sono giorni che mi sento la persona più felice del mondo.
Non provo invidia per chi ha figli né tanto meno tristezza, perché non sta a me scegliere se siano felici o meno e perché la mia vita io la amo così.
Forse perché io mi amo così. Quando vedo un'amica col proprio figlio, provo una gioia immensa per lei, ed è un sentimento che si ferma lì. Non sento il desiderio di essere nei suoi panni, perché io, i mie panni, li amo moltissimo.
Ho imparato molto presto, fin da bambina che la felicità ha un miliardo di forme diverse,esattamente come la tristezza. Che entrambe sanno annidarsi anche nei luoghi più insoliti, e nelle situazioni più improbabili, anche quando non sembra o ci sembra impossibile.
È proprio per questo che Il mio tramonto sull'oceano, per i miei occhi, può essere bello tanto quanto il sorriso di tuo figlio per i tuoi occhi.
La mia vita è fatta di questo : di viaggi a non finire, di letture a tutte le ore, di decisioni  improvvisate, di passioni sfrenate, di responsabilità alternate ad irresponsabilità.
La mia vita oggi è come un dono che mi faccio per tutto ciò che è andato storto.
La mia vita è OGGI.
La mia vita è un cottage in Irlanda che mi aspetta e una sedia a dondolo dove cullare i miei ricordi felici, che fortunatamente sono tantissimi.
Quindi ecco, non preoccupatevi per me, perché io me la cavo bene con tutto ciò che ho e che non ho.
Chiara

Verso il buio

Niall non aveva mai capito l'avversione degli umani nei confronti dei vampiri. Il perché si sentissero tanto migliori. I vampiri da sempre venivano considerati dei mostri, eppure non si comportavano in modo tanto diverso dalla maggior parte degli uomini.
Nel corso dei secoli aveva visto compiere dall'uomo i peggiori atti. Era convinto che anche in ogni essere umano si celasse un mostro dai denti aguzzi,magari più nascosto, magari meno visibile, ma non meno pericoloso.
Niall non aveva mai tentato di trattenere la sua natura e la sua sete, lo trovava ipocrita, era come chiedere ad un leopardo di cibarsi di erba.
Era stato morso quando aveva 16 anni ed era rimasto imprigionato in quel corpo di adolescente per 2 lunghi secoli. Ora era il sedicenne più maturo e saggio del mondo.
Non aveva amici umani, era impossibile averne, il loro sangue pulsava nel suo cervello in modo talmente insistente, che avrebbe rischiato di compiere una strage ogni giorno e non era ciò che desiderava. Nutrirsi era un conto, ascoltare la sete senza nessun freno era una storia decisamente più complicata.
Il suo mentore Ian gli aveva insegnato tutto su come essere un vampiro. Era stato lui a trasformarlo in piena notte su una panchina di un parco non illuminato , quindi da quel momento in poi era stato suo compito istruirlo in tutto e per tutto.
Ora Ian viveva a Dublino, ma ogni tanto si incontravano ancora per qualche battuta di caccia.
Quando un vampiro andava a caccia poteva scegliere se trasformare la vittima o lasciarla morire, il più delle volte accadeva la seconda cosa, era difficile fermarsi in tempo per non uccidere. E poi, un morto, dava meno nell'occhio o almeno nella sua testa era la scelta più semplice.
Niall in passato aveva provato a mischiarsi tra gli umani, cercando di creare legami, ma aveva abbandonato l'idea quasi all'istante. Quando vivi così a lungo, la stupidità e l'ignoranza umana ti infastidiscono , vedere quei piccoli e sciocchi esseri compiere sempre gli stessi errori, ti porta ad odiarli.
Sì feriscono, si tradiscono, si credono l'uno migliore dell'altro, quando invece sono tutti uguali, quando invece sono mossi solo dall'egoismo.
I vampiri sono quello che sono.

Era questo ciò che pensava mentre guardava il corpo inerme giacere in quel vicolo. Era passata più di un'ora da quando aveva messo i denti su quel collo. Si era seduto su uno scatolone accanto all'immondizia a fissare la minuscola goccia di sangue colare da due puntini rosso rubino, brillavano come fossero gioielli, erano l'unica cosa viva che restava di quell'uomo dalla barba folta.
Forse agli occhi di un uomo può sembrare assurdo uccidere un essere vivente solo per nutrirsi, ma non è forse assurdo uccidere per  soldi? Per il potere? Non è forse assurdo uccidere per gelosia?
I vampiri in fin dei conti sono solo bestie che rispondono al proprio istinto, per sopravvivenza.
Non si faceva mai troppe domande sulla vita della sua preda, era qualcuno che semplicemente si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Erano uomini e in quanto tali, la loro esistenza era pressoché inutile, servivano solo come cena.
Guardò un'ultima volta quella sagoma senza vita, cercò un briciolo di rimorso dentro di sé, ma come sempre, non lo trovò. Attraversò il vicolo e si incamminò nel buio, un buio che ormai conosceva a memoria.
E mentre si dirigeva dentro a quella oscurità, si rese conto, che in quell'oscurità non era più solo.
Era un luogo sempre più affollato.
Un esercito di umani ci si stava addentrando, loro così convinti di essere migliori, stavano diventando giorno dopo giorno, i cittadini di quel buio abitato da mostri.

Era strano rendersi conto di quanto fosse facile trasformarsi in qualcos'altro, a volte non serviva nemmeno un morso. A volte il veleno, le persone se lo portavano dentro e non c'era modo di arrestarlo. Una volta che si diffondeva  non c'era alcun antidoto, alcuna pozione per tornare indietro. Questo stava accadendo all'umanità, stava mutando in qualcosa di terribile.
Il cuore umano aveva lo stesso identico odore acre del suo cuore, l'odore di cose cattive e ormai morte.

Chiara

Edimburgo

Quando cammini nei vicoli di Edimburgo è inevitabile provare la sensazione che da un momento all'altro tu possa scorgere dietro un angolo, un ricciolo della barba di Silente o di sentire l'eco delle risate dei fratelli Weasley.
Edimburgo è magica. E la sua magia la si avverte ogni volta che ci ritorni.
Edimburgo non ha eguali. È come uno scrigno antico e colmo di segreti.
Tutte queste luci che a natale la illuminano, non fanno che rendere la sua magia ancora più potente. Ti restituisce l'emozione del Natale di quando eri bambino, quella che ti sei fatto rubare molti anni fa.
Di sera il suo castello è avvolto da una luce verde ed è completamente deserto. Nessuno passeggia intorno alle sue mura, ad una certa ora puoi ascoltare il suo silenzio narrare strane storie di un'epoca lontana.

I suoi pub anche quelli più nascosti, sono sempre gremiti, ma nessuno ti vieta di prendere una birra e berla su uno scalino appena fuori, sotto il chiarore dei lampioni.
E proprio lì dove il tempo sembra essersi fermato, mentre la birra scura mi disseta, mi rendo conto che la magia esiste davvero.
Che in realtà non se n'è mai andata, è lì da qualche parte dentro di noi.
Ci vogliono i cieli giusti, le strade giuste e gli occhi per scovarla.
Chiara
(Edimburgo dicembre 2018)

Sussurro

Mi piace come l'inverno nasconde le cose.
Ho sempre amato, fin da bambina, il suo buio precoce.
E quella sua capacità di indurre le persone a tenere basso lo sguardo.

C'e quest'attimo, in cui il chiarore del suo grigio, sembra volerti dire qualcosa.

Credo un segreto.

Qualcosa che serva a scaldarti.

L'inverno non urla, l'inverno sussurra.
È la stagione di chi vuole ascoltare.

Chiara