domenica 14 luglio 2019

Sola contro un meteorite

Mi dovettero togliere il chiodo dalla tibia per farci stare la protesi, o uno o l'altro, non c'era spazio per entrambi. Così bisognava a tutti i costi, trovare il modo di sfilare quel chiodo telescopico, che era nella mia gamba da quasi 18 anni.
Fui la seconda bambina in Italia ad avere l'onore e la stramaledetta "fortuna", di possedere un chiodo che prometteva di crescere con me. E proteggermi. Quel mezzo di sintesi si sarebbe allungato pari pari con la mia tibia, nei secoli dei secoli.
Ma quando arrivò l'osteosarcoma, con arroganza e cattiveria decise che non c'era più posto per quel pezzo di ferro vecchio.
Il giorno dell'intervento nemmeno Enzo aveva le idee molto chiare su come toglierlo, così ebbe un lampo di genio (uno dei tanti) e chiamò nell'equipe, il medico che 18 anni prima me lo aveva installato.
Chiusi gli occhi per l'anestesia sapendo che avrebbero improvvisato. Eppure mi addormentai beata.
L'intervento durò 9 ore. Fu un intervento un po' complicato, l'unico modo per poterlo togliere fu fratturare la caviglia, aprirla e sfilarlo da lì.
La mia caviglia non è mai più stata la stessa, tutt'oggi è invasa dall'osteoporosi ed è in perenne "rischio frattura". Mi crea spesso forti dolori e a volte non è molto stabile.
Sì sacrificò per un bene più grande. Per una causa più importante.
Io la immaginai così :
"Sola su un missile spaziale a schiantarsi contro un meteorite per scongiurare l'Armageddon" .
Ma più semplicemente, mi fratturarono una caviglia per salvarmi una gamba.

A volte è questo che bisogna imparare a fare, dobbiamo sopportare dolori più piccoli per salvarci da dolori più grandi.
È necessario nella vita riuscire a guardare le cose in questa prospettiva, per non rischiare di sprecare il tempo crogiolandosi.
Per far la conta di ciò che abbiamo e non di ciò che ci manca.

Chiara