venerdì 27 maggio 2016

Il luogo dove qualcuno decide chi sei (disabilità)

C’è un luogo dove non auguro a nessuno di doverci capitare, è al -1 di un edificio grigio e malinconico.
Il corridoio è strettissimo, le persone in carrozzina ci passano a malapena. In questo luogo c’è una stanza in cui delle persone sedute intorno ad un tavolo giudicano il tuo stato di disabilità.
“La commissione”, solo la parola mette ansia.
Un piano sotto terra. E’ lì il posto giusto per le persone disabili, sotto terra. Questa è la considerazione che “la commissione” ha di noi. Persone messe lì a giudicare se sei abbastanza disabile o non molto.
Ogni volta la stessa storia. E’ troppo tempo che frequento questo luogo è troppo tempo che subisco i loro sguardi. Come se la mia osteogenesi imperfetta potesse guarire, come se il mio ginocchio, i legamenti, il femore, il muscolo potessero ricrescere come accade alla coda delle lucertole.
Alle mie ossa si aggiungono fratture ma per “la commissione” resto un individuo che chiede la loro carità.
Ma la cosa più assurda di tutte sapete qual’ è? Quando ho questo genere di visite ci vado struccata. Ho ceduto alla loro ignoranza. Perché è così che per loro funziona. Se sei disabile lo devi dare a vedere, devi essere il più grigio possibile, trascurato, trasandato devi sembrare disperato e depresso.
Devi per forza di cose rinunciare alla tua dignità. E’ cosi che loro amano vederti, è questo che si aspettano da te.
Come se una matita nera sugli occhi ti rendesse meno disabile.
Io mi truccavo anche durante la chemioterapia, ogni mattina strisciavo verso il bagno e mezza morta mi truccavo, abbinavo un foulard al pigiama e mi mettevo la crema per il corpo, lo facevo ogni volta che ero in grado di tenere gli occhi aperti, nemmeno la chemio mi ha mai tolto la mia dignità, l’amore che provo per me stessa. Questo non significa che non stessi soffrendo, significa che io sono Chiara anche nelle condizioni peggiori. Ma loro non lo capiscono. Se ti vedono con un filo di trucco credono che tu sia guarita, che la tua disabilità dipenda da quello. A loro non importa che lotto col dolore da quando sono bambina, a loro non importa niente. Ti guardano con quelle facce supponenti sapendo che ti hanno in pugno. E credetemi per “la commissione” non sei mai abbastanza disabile, non importa se poi voliamo su aerei pilotati da ciechi, ciò che conta è che siano loro a decidere chi sei.
Mi guardo attorno e mi soffermo sui volti delle persone che attendono di entrare, hanno la faccia di chi sta in equilibrio su una corda. La faccia di chi sa di avere il coltello dalla parte sbagliata. Hanno la mia stessa faccia.
Il numero scatta, è il mio turno, e tutti i pensieri che ho elaborato muoiono in due minuti, uccisi dalla frase gelida, disumana e senza speranza “abbiamo la sua relazione, può andare”.
Chiara

Nessun commento:

Posta un commento